«Seguiteci, dovete andare verso nord», grida al megafono uno dei soccorritori di Medici senza frontiere (Msf). È a bordo di un gommone di salvataggio e ha di fronte il peschereccio carico di 400 persone partite dalla Cirenaica che la Geo Barents ha soccorso il 4 aprile scorso. «Dicono che non hanno più carburante», «Riprova, riprova», «Seguiteci, seguiteci», «Avete carburante?», «Nooo, nooo», «Non hanno carburante, dicono che non hanno carburante», «State calmi, vi aiuteremo».

QUESTE FRASI compongono la conversazione tra gli operatori di Msf presenti sul mezzo di soccorso e i migranti che si trovano sul barcone. È registrata nel video che il manifesto pubblica qui in basso. Le immagini smentiscono la comunicazione che il mercantile Bw Cassia, uno dei due dirottati da La Valletta per portare assistenza, ha inviato al centro di coordinamento del soccorso marittimo maltese sostenendo che l’equipaggio di Msf avrebbe costretto il peschereccio, «che navigava a 8 nodi», a fermarsi.

SULLA BASE DI quella mail martedì scorso la guardia costiera italiana ha scritto al comandante della Geo Barents che tale operazione avrebbe «aumentato il rischio di instabilità del peschereccio». Anche perché le onde erano alte, il vento forte e le operazioni di salvataggio molto complesse. Per questo, secondo le autorità italiane, l’equipaggio di Msf ha creato un pericolo non necessario: dal momento «che i migranti avevano riferito di possedere abbastanza carburante per navigare» la loro unità avrebbe potuto raggiungere un tratto di mare con condizioni più favorevoli al trasbordo. L’accusa non è di poco conto: si tratterebbe di una violazione del primo articolo, comma 2-bis lettera f), del decreto Piantedosi sulle Ong poi convertito in legge. Tradotto: significherebbe una nuova detenzione della più grande e meglio attrezzata tra le navi umanitarie. Il secondo fermo in meno di due mesi. Stavolta durerebbe 60 giorni. Soprattutto preluderebbe alla confisca della nave, che scatta al terzo blocco.

LA MAIL della guardia costiera – firmata dal capo della centrale operativa di Roma, il comandante Gianluca D’Agostino – afferma che il soccorso in questione sarà oggetto di «un’analisi approfondita» anche in vista delle prossime missioni di ricerca e soccorso (Sar) della nave. Dalle parti di Msf, però, si dicono tranquilli: nonostante la chiusa sembri alludere a un possibile provvedimento disciplinare, ritengono che la valutazione sia basata sull’errata comunicazione del Cassia e di avere tutte le prove per smentirla.

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MERCOLEDÌ il comandante dalla Geo Barents ha risposto alle autorità allegando, tra le altre cose, il video menzionato e una comunicazione tra il Cassia e l’aereo Sea Bird 2 di Sea-Watch. In questo scambio dal mercantile dicono chiaramente di non aver avuto contatti radio con i migranti. E non è possibile ci abbiano parlato di persona dal momento che la nave non ha calato in mare i mezzi di soccorso né era in grado di avvicinarsi troppo al peschereccio. Il Cassia è un bestione lungo 295 metri, oltre il triplo della Geo Barents. Nelle ricostruzioni dei soccorritori non si sarebbe avvicinato oltre il miglio nautico. Cioè 1.852 metri. Che sia stato l’equipaggio della Ong a far spegnere i motori ai migranti deve dunque essere una deduzione del comandante. Probabilmente tratto in inganno dal fatto che il peschereccio si è fermato proprio mentre aveva intorno i due mezzi di salvataggio che «circondandolo», come scritto nella mail inviata a Malta, hanno in realtà messo in pratica una normale manovra di soccorso per valutare la situazione e tenerla sotto controllo da tutti i lati.

A SOSTEGNO DELLA SUA TESI la Ong ha anche altre prove. La prima è che l’intervento non è stato immediato: tra l’avvistamento del barcone, alle 4.02, e l’inizio della distribuzione dei giubbotti di salvataggio, alle 13.15, sono trascorse diverse ore proprio a causa delle condizioni del mare. La seconda è che il capitano ha ritenuto il peschereccio in pericolo imminente sulla base di una pluralità di elementi comunicati alle autorità competenti. La terza è che l’urgenza del soccorso è dimostrata anche dal caso di una persona trovata a bordo incosciente e poi evacuata d’urgenza a Malta. Infine le diverse posizioni fornite dal centralino Alarm Phone mostrerebbero che il peschereccio nelle 20 ore successive alla richiesta di aiuto avrebbe viaggiato a una velocità media di 4,5 nodi e non 8, come sostenuto dal Cassia.

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PER TUTTE QUESTE RAGIONI il comandante della Geo Barents rigetta l’accusa, infamante per un uomo di mare, di aver messo in pericolo il barcone costringendolo a fermarsi. «Viviamo tempi bizzarri in cui bisogna difendersi per aver salvato vite in pericolo – afferma Juan Matías Gil, capomissione di Msf – Quando invece a dover rispondere del loro operato, o meglio della loro inazione, dovrebbero essere gli Stati europei. La loro scelta di non avere un sistema di ricerca e soccorso in mare mette in pericolo migliaia di vite»