Neanche il tempo di far toccare terra ai 440 esseri umani salvati martedì dalla Geo Barents in un intervento da manuale, «uno straordinario soccorso» ha scritto l’ex portavoce della guardia costiera Vittorio Alessandro, che contro Medici senza frontiere si scatena la solita macchina del fango. «La nave dei migranti non era in pericolo: soccorsa a forza» titola Il Giornale in un articolo firmato da Fausto Biloslavo, che definisce i soccorritori di Msf «pirati del mare» e «talebani dell’accoglienza». Secondo le fonti del giornalista, generalmente ben informato su queste vicende, la guardia costiera italiana starebbe preparando una «dettagliata relazione che evidenzia come sia stato violato il decreto Ong».

LA PROVA REGINA di tutte le accuse sarebbe una mail inviata alle autorità di La Valletta dal mercantile Cassia, uno dei due dirottati, pare prima dall’Italia e poi da Malta, per fare da scudo al peschereccio. Secondo il comandante di quella nave la Geo Barents avrebbe «fermato forzosamente l’imbarcazione dei migranti, che navigava a 8 nodi, circondandola con due gommoni di salvataggio. È accaduto a un’ora dalle acque italiane». In pratica Msf avrebbe costretto a farsi salvare delle persone che da quasi 24 ore chiedevano disperatamente di essere soccorse attraverso il centralino Alarm Phone. Ma c’è un dettaglio particolare in questa comunicazione, di cui non sono noti i passaggi precedenti. Il comandante menziona la distanza dall’ingresso nella zona di ricerca e soccorso (Sar) italiana. Un’informazione totalmente irrilevante in un normale caso di imbarcazione in pericolo, che va soccorsa immediatamente a prescindere dall’area di competenza.

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L’UNICA SPIEGAZIONE logica è che Malta volesse semplicemente lavarsi le mani del caso. Non sarebbe la prima volta. E questo spiegherebbe anche perché ha coordinato i due mercantili che stavano «scortando» a distanza il peschereccio ma non la Geo Barents. Cioè l’unica attrezzata per intervenire. «Se Malta avesse coordinato la nave di Msf, che sapeva essere l’unica in grado di soccorrere i migranti, si sarebbe dovuta far carico di indicare un suo porto di sbarco», spiega l’ammiraglio della guardia costiera Sandro Gallinelli, che al «Paradosso delle aree Sar di Italia e Malta» ha dedicato un lungo articolo scientifico. «Se la Geo Barents non fosse intervenuta – continua – e il peschereccio avesse raggiunto la Sar italiana senza naufragare prima, all’Italia sarebbe rimasta l’alternativa tra farsi subito carico del soccorso o aspettare, come a Cutro». Insomma, a meno di ribaltarsi producendo una nuova e forse peggiore strage le persone sarebbero comunque arrivate in Italia. L’intervento rapido ha solo ridotto i rischi.

DEL RESTO una giurisprudenza consolidata, la Convenzione Sar, il regolamento Frontex del 2014 e per ultimo il naufragio calabrese mostrano come il fatto che un barcone sia in movimento non escluda che si trovi in pericolo. «Questa condizione va accertata in concreto e si definisce valutando tutti gli elementi del caso. Ad esempio: capacità di galleggiamento, condizioni meteorologiche, presenza di dispositivi di sicurezza, sovraccarico. Motivo per cui è il comandante che ha la discrezionalità di valutare la situazione che ha di fronte. È su di lui che ricade l’obbligo del soccorso. Anche in assenza di ordini impartiti dall’autorità competente», spiega l’avvocata Francesca Cancellaro.

ORDINI, INFORMAZIONI e coordinamento sono stati chiesti ripetutamente dalla Geo Barents. A Malta ha scritto almeno sei volte tra il 3 aprile, quando il peschereccio lancia il primo Sos, e il giorno seguente, quando le persone sono soccorse. il manifesto ha visionato tutte le mail citate. Alle 4.02 del 4 aprile il comandante della Geo Barents scrive a La Valletta di avere il contatto visivo del peschereccio ma di non poter intervenire a causa delle condizioni del mare «estremamente cattive». C’è il rischio di «compromettere la sicurezza delle persone in pericolo e del suo equipaggio». Alle 8.04 comunica che il peschereccio è «veramente sovraffollato; non si vedono dispositivi di sicurezza; motore in corso ma rotta irregolare che fa spesso dei cerchi». Per questo considera la situazione «altamente pericolosa». Ribadisce di non aver ricevuto istruzioni dalle autorità e che intende fornire assistenza come da obblighi internazionali. È solo alle 11 e mezzo che la nave umanitaria riesce a calare i gommoni di salvataggio.

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«C’ERANO TRE METRI di onda e venti nodi di vento. I nostri mezzi di soccorso hanno fatto delle prove per capire come affrontare una situazione estremamente complessa. Poi abbiamo affiancato il peschereccio tenendoci a 200 metri di distanza da ogni lato», racconta Anabel Montes Mier, responsabile dei soccorsi di Msf. «La nostra intenzione era accompagnare il mezzo verso un tratto di mare con condizioni più favorevoli, dove si poteva intervenire – afferma – Ma si muoveva in modo imprevedibile e strano. Solo verso le 13.15 abbiamo iniziato a distribuire i giubbotti di salvataggio. A un certo punto il peschereccio si è fermato. Abbiamo provato a dire di continuare. Ma ci hanno detto che era finita la benzina». Un barcone stracarico, in un mare mosso e senza la spinta del motore rischia di capovolgersi in qualsiasi momento. «Non ci rimaneva che intervenire», conclude Montes Mier.

MALTA HA RISPOSTO alla Geo Barents solo una volta – alle 14.49, cioè a soccorso iniziato – per dire di fare riferimento allo stato di bandiera, la Norvegia. Secondo le autorità di La Valletta si è trattata di «un’intercettazione autonoma» perché la barca procedeva e aveva ancora benzina. Ribadendo, anche ammesso fosse vero, un’interpretazione del «pericolo in mare» che non corrisponde alle normative internazionali e ha causato, in diverse parti del Mediterraneo, centinaia di morti.

Insomma Malta continua con le sue condotte omissive, mentre la Geo Barents ha salvato centinaia di persone. Se l’Italia vuole prendersela con qualcuno ha tutti gli elementi per stabilire chi ha sbagliato qualcosa.