Di Abdullah Ocalan non si hanno più notizie da 35 mesi. Nessuna telefonata, nessuna lettera, «non sappiamo nemmeno se sia ancora vivo». Eppure la sua figura rimane punto di riferimento per le comunità curde sparse per l’Europa e per un popolo diviso da quattro confini in Medio Oriente.

Roma, come ogni anno, scende in piazza: migliaia in corteo da Largo Ricci. Corteo anche a Milano. E poi Colonia: la città tedesca ieri ha ospitato il concentramento europeo, centinaia di migliaia di persone a chiedere la liberazione del fondatore del Pkk, detenuto in isolamento in Turchia da 25 anni.

«IIL PRESIDENTE Erdogan usa Ocalan per fare pressione sul popolo curdo in Turchia – ci spiega Yilmaz Orkan, responsabile di Uiki, Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia – Il 31 marzo si terranno le elezioni amministrative, Erdogan non vuole che Ocalan mandi un messaggio al suo popolo. Un messaggio di pace: non parla solo ai curdi ma a tutti i popoli della regione, arabi, turkmeni, assiri, armeni, turchi, persiani: il confederalismo democratico è un progetto di convivenza, un paradigma di esistenza senza gli stati-nazione. Tanto più oggi con i governi fascisti di Netanyahu ed Erdogan che alimentano le divisioni».

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La Palestina non poteva non essere presente: le sue bandiere sventolano tra quelle del Kurdistan e quelle gialle delle unità di autodifesa della Siria del nord-est, le Ypg e le Ypj, e tra i fazzoletti viola del movimento delle donne curde.

Dal camion in marcia verso Piazza Vittorio si parla del colonialismo a cui i due popoli sotto sottoposti. E che passa per identiche forme di punizione collettiva: «L’esercito turco ha cambiato strategia: dal prendere di mira Ypg e Ypj al tentare di rendere il Rojava un posto invivibile: vuole mobilitare i civili contro l’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, ma non sta funzionando», ci spiega Tiziano Saccucci di Uiki riepilogando mesi di attacchi contro infrastrutture civili indispensabili alla sopravvivenza.

«Centrali idriche ed elettriche, cliniche, l’unico centro dialisi della regione a Qamishlo – ricorda – Da mesi la popolazione è senza elettricità, si provvede con i generatori ma non basta. Gli ospedali operano a regime ridotto. Gli attacchi sono una rappresaglia per le perdite subite dai turchi nelle montagne del Bashur (Kurdistan in Iraq, ndr) contro la guerriglia. Non riescono ad avanzare e puniscono i civili del Rojava».

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Per loro sfila in corteo anche un’associazione appena nata, Sanitari per Gaza, centinaia di medici, infermieri, psicologi, ostetrici che ha preso parola contro la devastazione del settore sanitario gazawi da parte dell’esercito israeliano: «Siamo qui in solidarietà con il popolo curdo – dicono Paola, Ilaria e Valeria dietro il loro striscione – Come sanitari fa male vedere le immagini degli ospedali e i feriti di Gaza. Abbiamo mandato una lettera a tutti gli ordini professionali in cui li invitiamo a prendere posizione. Una lettera, 130 pagine di firme».

DAL CAMION Giovanni Russo Spena, portavoce del comitato «Libertà per Ocalan», lega le due lotte. Scende dal camion e lo ribadisce: «Ocalan è una voce importantissima come quella del palestinese Marwan Barghouti: pensatori autorevoli che hanno una connessione sentimentale con i loro popoli e che possono portare a processi di reale pacificazione».

«Ho nel cuore l’immagine di Leila Khaled che tre anni fa fu la più applaudita al congresso del partito turco-curdo Hdp – gli fa eco Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista – Raccontò di come la lotta palestinese e quella curda siano indissolubilmente legate. Dobbiamo lavorare a un’unità delle forze progressiste in quell’area del mondo: l’Italia democratica e antifascista ha un debito verso il popolo curdo, il suo leader è in prigione da 25 anni per responsabilità italiana».