In origine era Thaksin, la favola dorata di un imprenditore che amava contadini e pescatori e faceva man bassa dei loro voti. Un pacioccone che però non piaceva al re e ai soldati, suoi fedeli servitori.

Quando la fa grossa, vendendo il piatto ricco delle telecomunicazioni a Singapore, scatta la reazione. Un golpe lo caccia. Un altro golpe caccia la sorella. Poi arriva la figlia e ci riprova alle ultime elezioni.

QUESTA VOLTA Thaksin Shinawatra e la figlia ce l’hanno fatta. Lei governerà con gli antichi nemici mentre il re, con gesto di magnanima bontà, ha perdonato l’ormai vecchio e malato Thaksin. Così che tutti i thailandesi vivano felici e contenti.

La favola è realtà dalla pubblicazione ieri sulla Gazzetta Reale del perdono che il monarca, su richiesta di Thaksin, gli ha concesso giovedì. L’unica cosa che non torna è forse la felicità dei thailandesi che il 14 maggio avevano premiato nelle urne un partito anti-militare e poco empatico con il Palazzo reale e un re non molto amato.

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Non certo come lo era suo padre Rama IX, cui molti perdonarono due golpe a ripetizione per mandare a casa, o meglio in esilio, la famiglia Shinawatra. In buona sostanza, quello che prima era solo un sospetto, è ora evidente realtà.

Nel maggio scorso le elezioni politiche stravolgono gli equilibri. Primo arriva il Partito Kao Klai (Move Forward Party) di Pita Limjaroenrat, un giovane che incarna le speranze dei contestatori che negli anni precedenti hanno riempito le piazze. Seconda è Paetongtarn Shinawatra, figlia di Thaksin a capo del Pheu Thai (Kao Klai e Pheu Thai sono in realtà l’emanazione con altri nomi di due partiti precedenti messi fuori legge: socialdemocratico l’uno, shinawatrano l’altro).

Gli altri partiti, tra cui due guidati da generali (entrambi premier dopo i golpe contro i Shinawatra del 2006 e del 2014), seguono a distanza. Pita non riesce a raccogliere abbastanza voti in parlamento per diventare premier e, mentre traffica per allargare col Pheu Thai una coalizione che lo sostenga, interviene la magistratura che lo esautora da parlamentare. Il castello va in pezzi ma intanto i Shinawatra hanno lavorato.

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E se Pheu Thai e i partiti «militari» si alleassero? Se si presentasse un nuovo tycoon senza velleità anti monarchiche? Se si dessero dicasteri chiave ai militari? Il piano va in porto ma serve la contropartita. Che il 22 agosto si presenta all’aeroporto Don Mueang di Bangkok. Si chiama Thaksin Shinawatra.

SU DI LUI pesano accuse e sentenze che lo hanno già condannato a otto anni. L’ex premier viene arrestato e trasferito alla sezione Remand nel complesso carcerario di Klong Prem, nel nord di Bangkok. Ci resta qualche ora, poi viene alloggiato nell’Ospedale generale di Polizia.

Intanto gli avvocati lavorano alla petizione con cui Thaksin si pente dei peccati, accetta la punizione e fa atto di sottomissione a re Vajiralongkorn, in carica dal 13 ottobre 2016 col nome di Rama X. Il re firma il perdono ma a condizione che Thaksin sconti almeno un anno. In ospedale supponiamo. Se non dovesse uscir prima per buona condotta.