La Spagna è sull’orlo dell’abisso. Comunque andrà a finire lo scontro sul referendum per l’indipendenza della Catalogna, la giornata di ieri sarà ricordata per una drammatica escalation della situazione. Una maxi-operazione di polizia su ordine di un giudice istruttore di Barcellona, scattata alle prime ore del mattino, ha portato agli arresti 14 alti dirigenti dell’amministrazione regionale catalana, accusati di abuso d’ufficio, violazione dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria e malversazione. E non solo: la Guardia civil ha effettuato numerose perquisizioni all’interno di assessorati, imprese, studi professionali, ma anche nella sede della Cup, la formazione indipendentista collocata più a sinistra. Sequestrate anche tutte le schede stampate per la consultazione, circa 10mila.
LA SOSTANZA DELL’ACCUSA mossa agli arrestati: avere speso illegalmente fondi pubblici per organizzare il referendum, violando quindi intenzionalmente la sentenza della Corte costituzionale che lo ha vietato. Fra le persone colpite dal provvedimento del magistrato Juan Antonio Ramírez Sunyer spicca il più alto funzionario del dipartimento di economia e finanze della Generalitat catalana, braccio destro del vicepresidente Oriol Junqueras ed esponente di spicco degli indipendentisti di sinistra di Esquerra republicana (Erc).
COME SE NON BASTASSE, per le stesse ragioni alla base dell’azione del giudice, da par suo il governo di Mariano Rajoy ha deciso di sospendere la possibilità di spesa dell’esecutivo di Barcellona, che da ieri si trova dunque ufficialmente commissariato da Madrid. Lo scontro politico e istituzionale in atto è quindi ormai totale.
DALL’ALTRO LATO della barricata, un imperturbabile Rajoy e i liberali di Ciudadanos, fautori tanto quanto il Partido popular della mano dura e del rifiuto esplicito di ogni ipotesi di dialogo con l’esecutivo catalano: «Con i golpisti non si parla». In mezzo, i socialisti del Psoe, in evidente difficoltà, che appoggiano le misure adottate contro il referendum, sia quelle del governo sia quelle della magistratura, ma non fanno propri i toni da crociata delle forze di centrodestra. Non tutti i socialisti, però, seguono davvero la linea «mediana» del numero uno Pedro Sánchez: non è un mistero che ad alcuni leader locali, come la presidente dell’Andalusia Susana Díaz o quello dell’Aragona Javier Lambán, non dispiaccia il pugno di ferro. Nessun accenno critico a quanto accaduto ieri viene dal quotidiano El País, teoricamente voce della Spagna liberal-progressista: l’editoriale pubblicato in serata sul suo sito è interamente dedicato alla confutazione delle «menzogne di Puigdemont». No comment, invece, dalle istituzioni europee: per Bruxelles continua a trattarsi di un «affare interno» della Spagna.