Ci vorrà del tempo, settimane, prima che la Consulta si esprima – in udienza pubblica o camera di consiglio – sulla costituzionalità o meno dell’articolo 420 bis del codice di procedura penale. La questione è stata sollevata dalla procura di Roma nell’ambito del processo Regeni: è di ieri la decisione del gup di Roma, Roberto Ranazzi, di disporre l’invio degli atti del procedimento su rapimento, tortura e omicidio del giovane ricercatore italiano alla Corte costituzionale.

La decisione segue la richiesta mossa dalla procura romana nella precedente udienza, quella del 3 aprile scorso: sottoporre alla Consulta la questione di costituzionalità della legge che regola il processo in contumacia, al fine di giungere – è la speranza di Piazzale Clodio – a una modifica dell’art. 420 bis c.p.p.

IL MOTIVO della richiesta sta nella ragione dell’attuale stallo: non si può procedere contro i quattro agenti egiziani (il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif) sospettati di aver rapito, torturato e ucciso Regeni perché Il Cairo non ha mai comunicato i loro indirizzi, necessari a inviare la notifica del procedimento in corso.

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Piazzale Clodio, tramite il procuratore Francesco Lo Voi e l’aggiunto Sergio Colaiocco, ritiene l’articolo 420 bis c.p.p. «lacunoso difettando di una previsione che permetta di tutelare gli interessi delle parti in causa anche a fronte di una inadempienza all’obbligo internazionale di cooperazione giudiziaria del loro Stato di appartenenza o di residenza». Ovvero, la legge – secondo i pm – sarebbe incostituzionale perché non prevede di procedere in assenza quando è uno Stato estero a impedire che un suo cittadino imputato in un processo in Italia ne venga a conoscenza.

L’obiettivo potrebbe dunque essere l’ottenimento di una «sentenza manipolativa», un pronunciamento con cui la Consulta non dichiara incostituzionale l’intera norma ma la rivede per sopperire alla mancanza e allo stesso tempo per impedire il vuoto normativo che sarebbe prodotto dall’abrogazione dell’intero articolo.

Ieri il gup ha accolto la richiesta di Piazzale Clodio: «Appare irragionevole e sproporzionata l’impossibilità di procedere in assenza quando manchi la cooperazione dello Stato estero di appartenenza o di residenza perché, mentre agli imputati è sufficiente sapere che vi è un procedimento a loro carico in Italia per l’omicidio di Giulio Regeni per sottrarsi al processo, al gup si chiede invece di provare la consapevolezza e volontà di sottrarsi non già al procedimento, ma al processo e cioè dimostrare che gli imputati, che si sottraggono al procedimento penale, conoscano anche i capi di imputazione e la vocatio in iudicium».

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E AGGIUNGE, citando la Convenzione sulla Tortura ratificata dal Cairo: le autorità egiziane «non consentono l’ordinario svolgimento dell’attività giudiziaria dello Stato di cittadinanza della vittima». Non solo, quell’attività «è stata osteggiata in modo palese» dal regime egiziano che ha così creato «un’inammissibile “zona franca” di impunità per i cittadini-funzionari egiziani nei confronti dei cittadini italiani».

Fuori da Piazzale Clodio, luogo di ritrovo ormai consueto della scorta mediatica per Giulio, si festeggia. «C’è una speranza in più, speriamo che venga sancito che questo processo si può e si deve fare», le parole di Alessandra Ballerini, legale dei genitori di Giulio Regeni, Paola e Claudio. «Un altro passo verso la verità», il tweet di Vittorio Di Trapani, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, sempre presente ai sit-in romani.

«Di fronte al vergognoso muro di gomma del regime egiziano il coinvolgimento della Corte costituzionale può essere un passo ulteriore», ha detto il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni.

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Shopping militare: al-Sisi scala la classifica

Il nuovo rapporto di Global FirePower, think tank specializzato nell’analisi della potenza militare dei diversi paesi del mondo, certifica quanto si sapeva già: l’Egitto del l’ex generale golpista al-Sisi ha costruito una macchina militare enorme. Il suo è il 14esimo esercito nella classifica globale, primo nel mondo arabo. E scala posizioni. Qualche esempio: con 13 fregate da guerra è quinto su 145 paesi presi in esame (come non ricordare la vendita di due fregate italiane Fremm); con 440mila effettivi è decimo per numero di militari attivi (a cui si aggiungono 480mila riservisti); è al quinto posto per il numero di carri armati (oltre 4.600) e ottavo per jet (oltre mille). Eppure continua a comprare armi. E l’Europa continua a vendergliele.