Dobbiamo tenerci strette, noi opposizioni, grida Elly Schlein dal palco di piazza Santi Apostoli. «Basta divisioni», il suo appello alle tante forze che si sono ritrovate insieme per un pomeriggio, con un campo larghissimo da Rifondazione e Santoro fino ai liberali di +Europa, per dire no al premierato e all’autonomia. Ma soprattutto un secco no ai rigurgiti (post?) fascisti della destra di governo.

Uno strano allineamento di pianeti ha riunito questo arcipelago che alle europee ha preso più voti delle destre, ma che è ben lontano dal darsi il profilo di una coalizione alternativa.
Per il momento si presenta come un fronte «in mobilitazione permanente», dice Schlein, che si prepara a diventare fronte referendario se il premierato completerà i prossimi tre passaggi parlamentari. Un fronte potenzialmente vincente di cui la leader Pd è una potenziale «federatrice», come predisse mesi fa Romano Prodi.

Un primato tra i progressisti che le viene riconosciuto nella scaletta del comizio, a lei tocca l’ultima parola e che, dopo il 24 % alle europee, nessuno osa più mettere in discussione. È lei che oggi ha la maggiore responsabilità di costruzione una coalizione da questa macedonia che si è vista in piazza Santi Apostoli, quella dell’Ulivo del 1996 e poi dell’Unione del 2006, da Mastella a Turigliatto, più o meno la stessa ampiezza di ieri pomeriggio e non andò a finire bene.

Ci voleva Giorgia Meloni, ci volevano le botte al deputato 5S Donno, reo di aver portato un tricolore al ministro Calderoli, con la premier che dal G7 accusa gli esponenti delle minoranze di essere dei «provocatori» per vedere dietro allo stesso palco Vincenzo De Luca e Paola Taverna, Maurizio Acerbo di Rifondazione e l’ex finiano Benedetto Della Vedova, Chiara Appendino e Bobo Craxi. Mentre sul palco parlava Alfonso Gianni dei comitati che nel 2016 dissero no alla riforma Renzi-Boschi, nel backstage c’erano molti pasdaran renziani, da Guerini a Serracchiani e Delrio.

«Viva l’Italia antifascista», grida la leader Pd, «non li faremo passare». Ci voleva una segretaria under 40, immune da tutti i rancori del passato, per riuscire nell’impresa di mescolare tante diversità. «Testardamente unitaria», dice lei, mentre la piazza con la bandiere rosse, quelle dei 5S, dell’Arci, dell’Anpi e del Pd, urla «Unità, unità».

Fratoianni raccoglie l’appello e si porta avanti col lavoro: «Battere questa destra è un formidabile programma politico». Tocca a lui ricordare che, se l’Italia è ridotta così male, è solo grazie alle folli divisioni dell’estate 2022, che hanno regalato la vittoria a Meloni. In quella torrida estate di due anni fa solo Sinistra italiana e Articolo 1 di Bersani dissero che era un errore. Gli altri, il Pd di Letta e il M5S di Conte, fecero finta di niente.

Schlein si è vaccinata in quella dura e perdente campagna elettorale. E la sua vittoria alle primarie del Pd nel 2023 nasce anche dalla rabbia degli elettori per i tanti errori di trent’anni di centrosinistra. Ora il testimone è passato a lei, che alle europee è andata così bene anche perchè non ha mai polemizzato con nessun partito dell’opposizione.

Conte, dopo il deludente risultato, ha avuto il merito di essere chiarissimo: lui sta nel centrosinistra e nessuno lo sposta da lì, né il Grillo che lo sfotte nei teatri e neppure l’ex sindaca Raggi che immagina un ritorno al passato del M5S contro destra e sinistra». «Non è che uno cambia collocazione dalla sera alla mattina», ribadisce, invitando chi volesse andare a destra a prendere la porta. Non era scontato, Schlein apprezza e lo coccola, così come Francesco Boccia e gli altri dem che lo accolgono nel retropalco dove si aggira Maria Aida Episcopo, sindaca di Foggia, vincitrice nell’autunno 2023 con un campo larghissimo che andava dai 5S ai centristi di Renzi e Calenda.

In quei giorni veniva portata in pellegrinaggio dai leader come una Madonna, ora la sua stella si è un po’ offuscata, ma il foggiano Conte la presenta a tutti orgoglioso: «Con lei abbiamo vinto una battaglia durissima». L’assenza di Renzi e Calenda non pesa a nessuno: gli elettori li hanno messi all’angolo, ma tra i dem molti sperano di recuperare almeno «Carletto».
Del Pd non manca nessuno: Guerini e Delrio con il coordinatore dell’area riformista Alessandro Alfieri abbracciano il “loro” Antonio Decaro, che ha preso 500mila voti. C’è Orlando e la sinistra interna, Schlein sorride a tutti.

C’è anche un eloquente siparietto tra Conte e Fratoianni. «Voi parlate prima di me?, chiede il leader 5S. E quello di Si: «Interveniamo in ordine decrescente rispetto ai voti, noi stiamo dietro di te, ancora per un po’…». Chiaro riferimento ai soli 3 punti percentuali che li separano nelle urne.

L’ordine di scuderia per gli interventi dal palco era evitare di parlare delle guerre (tema assai divisivo) e tutti si sono attenuti, concentrandosi sulle botte a Donno (per lui che è salito sul palco col tricolore grandi applausi: «Non ci lasceremo intimorire, sventoleremo la bandiera italiana con ancora più forza) e sull’inchiesta di Fanpage che mostra le nostalgie mussoliniane dei ragazzi di Fdi. «Cosa aspetta a cacciarli?», grida Schlein ben sapendo che non succederà mai.

Tocca a un ragazzo di meno di vent’anni, della Rete studenti medi, Paolo Notarnicola, ricordare alle truppa che «i fascismi prosperano sul disagio sociale, sulla sensazione dei più deboli di non avere rappresentanza» e che il «miglior anticorpo» alle destre estreme sono i diritti. Schlein, Conte e Fratoianni lo sanno. Il problema ora è trasformare questa consapevolezza in un programma di alternativa. Per ora c’è un campo larghissimo pronto a difendere la Costituzione dall’assalto delle destre. Per oggi tocca accontentarsi.