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«I profitti della cultura sulle spalle delle precarie», le lotte si uniscono

«I profitti della cultura sulle spalle delle precarie», le lotte si unisconoRoma, un momento del presidio di Non una di meno davanti al teatro Argentina – foto Ansa

Guastafesta NonUnaDiMeno e le lavoratrici dello spettacolo fanno fronte comune per immaginare un’altra città, il presidio all'Argentina si riversa nelle strade. Il sessismo dentro Teatri di Roma, la mancanza di tutele, le nomine della destra

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 9 marzo 2024

«Quante di voi hanno subito una molestia sul posto di lavoro?» chiede un’attivista di NonUnaDiMeno al microfono. Neanche a dirlo, le mani che si alzano sono molte. Siamo al presidio di fronte al Teatro Argentina, a Roma, dove per la prima volta avviene una saldatura strutturale tra il movimento transfemminista e quello delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo. Il fatto decisivo che forse ha spinto le attiviste della capitale a ritrovarsi qui, nel tardo pomeriggio, dopo il riuscito corteo della mattina (si parla di «scommessa vinta») è proprio la denuncia di molestie e mobbing emerse alcune settimane fa da parte di diverse lavoratrici del Teatro di Roma. Riempire anche questa piazza è un modo per portare solidarietà, per ribadirlo ancora una volta: «Sorella non sei sola».

MA UN PUNTO di forza di questo otto marzo è stato tenere insieme tante rivendicazioni creando in maniera quasi spontanea un fronte unito. E le lotte comuni, anche in questo caso, sono molte. «Quella delle lavoratrici dello spettacolo è forse la lotta più urgente in questo momento a Roma – ci dice un’attivista di NonUnaDiMeno che lavora nel mondo del cinema – in tutti i luoghi dove si produce cultura le lavoratrici sono sfruttate, sottopagate, precarie. Ad unirci è il modo in cui si vive in questa città». Rivendicazioni che la piazza allarga alle lavoratrici del turismo e della ristorazione, anche loro senza tutele e spesso costrette a turni massacranti, una situazione che si teme potrebbe peggiorare con il Giubileo alle porte. Sono categorie dove lo sciopero spesso non è previsto, «i diritti non li conosce nemmeno il datore di lavoro. Il movimento ci sta insegnando quali tutele abbiamo». E poi c’è l’egemonia culturale che la destra al governo sta cercando in tutti i modi di imporre. «Accusano noi di professare il pensiero unico. Ma se ci frequentassero, se venissero alle nostre assemblee, saprebbero invece quanto siamo inclusive» dice ancora l’attivista.

DOPO UN INTERMEZZO musicale, viene srotolato un lungo striscione con lo slogan scelto per la protesta degli ultimi mesi, da quando a gennaio è andata in scena la sbrigativa e opaca nomina di Luca De Fusco a direttore del teatro: «Vogliamo tutt’altro». E l’Assemblea costituente delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo si chiede: «Come possiamo scioperare se dobbiamo ringraziare per un ingaggio mal pagato? Sarà un caso poi che le organizzatrici teatrali sono tutte donne al servizio di direttori maschi? De Fusco è il simbolo dell’uomo solo al comando, e il Comune di sinistra arranca, proponendo solo l’ennesima spartizione di poltrone». E rivolto verso il teatro parte il coro «buffoni» – qui, ancora una volta, è stata schierata la polizia davanti all’ingresso, come se a Roma fosse ormai una prassi quella di presidiare i teatri con le forze dell’ordine.

«Che la comunità transfemminista sia qui a sostenerci è un dato politico importante – ci dice Leonardo, artista, membro dell’Assemblea costituente – il Teatro di Roma è evidentemente un luogo che produce precarietà e sessismo. Siamo qui per dire che il sistema patriarcale che governa i teatri italiani è una realtà concreta. I nuovi vertici legati a questo governo vogliono definanziare la ricerca, come artisti e artiste del contemporaneo siamo loro nemici. Ma la piazza di oggi, con tutte queste energie giovani, ci consegna un’altra possibile narrazione».
Nel frattempo il cielo si è scurito, ma la voglia di manifestare è ancora tanta. Il presidio si trasforma così in un corteo che blocca il traffico nelle strade del centro. Il passo è leggero, la «marea fucsia» oggi sembra inarrestabile, e vuole avere voce in capitolo sul futuro culturale di questa città.

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