«Quante di voi hanno subito una molestia sul posto di lavoro?» chiede un’attivista di NonUnaDiMeno al microfono. Neanche a dirlo, le mani che si alzano sono molte. Siamo al presidio di fronte al Teatro Argentina, a Roma, dove per la prima volta avviene una saldatura strutturale tra il movimento transfemminista e quello delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo. Il fatto decisivo che forse ha spinto le attiviste della capitale a ritrovarsi qui, nel tardo pomeriggio, dopo il riuscito corteo della mattina (si parla di «scommessa vinta») è proprio la denuncia di molestie e mobbing emerse alcune settimane fa da parte di diverse lavoratrici del Teatro di Roma. Riempire anche questa piazza è un modo per portare solidarietà, per ribadirlo ancora una volta: «Sorella non sei sola».

MA UN PUNTO di forza di questo otto marzo è stato tenere insieme tante rivendicazioni creando in maniera quasi spontanea un fronte unito. E le lotte comuni, anche in questo caso, sono molte. «Quella delle lavoratrici dello spettacolo è forse la lotta più urgente in questo momento a Roma – ci dice un’attivista di NonUnaDiMeno che lavora nel mondo del cinema – in tutti i luoghi dove si produce cultura le lavoratrici sono sfruttate, sottopagate, precarie. Ad unirci è il modo in cui si vive in questa città». Rivendicazioni che la piazza allarga alle lavoratrici del turismo e della ristorazione, anche loro senza tutele e spesso costrette a turni massacranti, una situazione che si teme potrebbe peggiorare con il Giubileo alle porte. Sono categorie dove lo sciopero spesso non è previsto, «i diritti non li conosce nemmeno il datore di lavoro. Il movimento ci sta insegnando quali tutele abbiamo». E poi c’è l’egemonia culturale che la destra al governo sta cercando in tutti i modi di imporre. «Accusano noi di professare il pensiero unico. Ma se ci frequentassero, se venissero alle nostre assemblee, saprebbero invece quanto siamo inclusive» dice ancora l’attivista.

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Teatro di Roma e le accuse di mobbing: nuove pressioni sui dipendenti precariDOPO UN INTERMEZZO musicale, viene srotolato un lungo striscione con lo slogan scelto per la protesta degli ultimi mesi, da quando a gennaio è andata in scena la sbrigativa e opaca nomina di Luca De Fusco a direttore del teatro: «Vogliamo tutt’altro». E l’Assemblea costituente delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo si chiede: «Come possiamo scioperare se dobbiamo ringraziare per un ingaggio mal pagato? Sarà un caso poi che le organizzatrici teatrali sono tutte donne al servizio di direttori maschi? De Fusco è il simbolo dell’uomo solo al comando, e il Comune di sinistra arranca, proponendo solo l’ennesima spartizione di poltrone». E rivolto verso il teatro parte il coro «buffoni» – qui, ancora una volta, è stata schierata la polizia davanti all’ingresso, come se a Roma fosse ormai una prassi quella di presidiare i teatri con le forze dell’ordine.

«Che la comunità transfemminista sia qui a sostenerci è un dato politico importante – ci dice Leonardo, artista, membro dell’Assemblea costituente – il Teatro di Roma è evidentemente un luogo che produce precarietà e sessismo. Siamo qui per dire che il sistema patriarcale che governa i teatri italiani è una realtà concreta. I nuovi vertici legati a questo governo vogliono definanziare la ricerca, come artisti e artiste del contemporaneo siamo loro nemici. Ma la piazza di oggi, con tutte queste energie giovani, ci consegna un’altra possibile narrazione».
Nel frattempo il cielo si è scurito, ma la voglia di manifestare è ancora tanta. Il presidio si trasforma così in un corteo che blocca il traffico nelle strade del centro. Il passo è leggero, la «marea fucsia» oggi sembra inarrestabile, e vuole avere voce in capitolo sul futuro culturale di questa città.