Mamma e papà dovranno andare a scuola a riprendere i figli fino al compimento dei 14 anni di età. Se lavorano, come spesso capita, potranno mandare i nonni. Quando li hanno. E se per caso i nonni vivono a centinaia di chilometri di distanza, potranno mandare le/i baby sitter. E se, ancora per caso, non hanno un reddito capace di sostenere il baby-sitteraggio di ragazzi che sono spesso autonomi, che fare? Niente, i genitori saranno obbligati ad andare a prendere i figli altrimenti possono essere denunciati per abbandono di minore. E’ la legge, stabilita da circa un mese da una circolare scolastica e ribadita qualche giorno fa dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli in una trasmissione televisiva:

Le dichiarazioni hanno creato il consueto flame sui social, ormai un classico per ogni uscita della ministra. Fedeli non è stata propriamente logica. Ad esempio, alla domanda se farebbe tornare a casa da soli i nipoti sotto i 14 anni la ministra ha risposto: “Io sono una persona che per cultura rispetta le leggi e quindi sì. E’ vero, è giusto sperimentare l’autonomia dei ragazzi ma si può fare anche di pomeriggio, non necessariamente nel percorso casa-scuola-casa”. In pratica, una volta tornati a casa, le responsabilità sono delle famiglie. E se devono tornare a scuola, nel pomeriggio? Per quale ragione la legge evocata al mattino, non dovrebbe valere anche nel pomeriggio? La concezione della legalità a tempo della ministra ha fatto scatenare le polemiche. Non è escluso, tuttavia, che le scuole abbiano già pensato a una simile eventualità e si siano attrezzate per coprirsi legalmente durante la permanenza dei ragazzi negli istituti. Fuori, ai genitori, tocca comunque trovare il modo di andare a riprenderli.

Nel pomeriggio di ieri il ministero dell’Istruzione ha diffuso una nota per puntellare la posizione della ministra. “Le scelte e le decisioni dei presidi, in materia di tutela dell’incolumita’ delle studentesse e degli studenti minori di 14 anni -si spiega – sono conformi al quadro normativo attuale, come interpretato ed applicato dalla giurisprudenza. E’ una questione di assunzione di responsabilita’ nell’attuazione di norme che regolano la vita nel nostro Paese, pensate per la tutela piu’ efficace delle nostre e dei nostri giovani”. “Le leggi e le pronunce giurisprudenziali, come quella della Cassazione, vanno rispettate – prosegue la ministra – e se si vuole innovare l’ordinamento su questo tema occorre farlo in Parlamento, introducendo una norma di legge che, a certe condizioni, dia alle famiglie la possibilità di firmare liberatorie che sollevino da ogni responsabilita’ giuridica, anche penale, dirigenti e personale scolastico al termine dell’orario di lezione”. Il Miur non prenderà una posizione univoca su questa questione con qualche circolare perché “non ha questa funzione ne’ questa responsabilità”.

Ad ogni modo il caso risponde a un problema reale. E’ stato provocato da un pronunciamento della Cassazione su un tragico investimento di un bambino di 11 anni da parte di un autobus di linea all’uscita di una scuola. Fu quello un episodio che ha riattivato uno dei conflitti tra presidi e genitori: i primi non intendono assumere la responsabilità dei ragazzi una volta suonata la campanella di fine lezione. I secondi, pur attenti a non lasciare soli i figli, anche quelli già grandi delle medie, non sempre riescono a coordinare i tempi del lavoro e degli affetti come vorrebbero. Le soluzioni sono le più varie e, anche in questi casi, dipendono dal reddito, dalla situazione lavorativa di entrambi i genitori e delle famiglie di riferimento, oltre che dai tempi delle donne a cui viene addossato il maggiore dei pesi in un paese – va ricordato – dove l’occupazione femminile cresce ed è sempre più precaria.