Una delle biblioteche più sorprendenti di cui si sia mai favoleggiato è certamente quella del Nautilus, il sottomarino di Ventimila leghe sotto i mari. Visitando il ventre metallico, che li accoglie come un cetaceo, il capitano Nemo accompagna il professor Arronax fino a una sala di ampie dimensioni, dove in «enormi scaffali di palissandro nero con fregi di bronzo erano allineati in gran numero alcuni volumi rilegati tutti nello stesso modo».
Jules Verne non ci dice il colore dei dorsi perché sa bene che agli occhi del lettore si presenterà fulminea l’immagine della biblioteca più solenne che ha in mente: «Guardavo sbalordito e ammirato quell’organizzatissima biblioteca sottomarina e non riuscivo a credere ai miei occhi». Ma la verve misantropa dell’ingegner Nemo, dal passato e dalle finalità oscure, ha la meglio sullo stupore del professore. Quei dodicimila volumi, spiega acidamente, «sono i soli legami che mi uniscono ancora alla terra. Il mondo finì per me il giorno in cui il Nautilus si immerse per la prima volta sotto la superficie del mare. Quel giorno acquistai i miei ultimi volumi, le ultime riviste, gli ultimi giornali. Da quel momento preferisco credere che l’umanità non abbia più né pensato né scritto».

CHE IL FUTURO dell’umanità debba essere affidato a una zattera può non stupire tanto quanto invece è fonte di turbamento che la sopravvivenza del libro, nell’allusiva situazione immaginata da Verne, possa essere messa in pericolo dal progresso tecnologico: la biblioteca va sì traghettata nell’era incerta delle macchine ma sull’istituzione si è allungata l’ombra del monumento, e da corpo organico e vivo sembra diventare un fossile, al più prodotto combustibile. Insieme alla pancia di ferro che la contiene, la biblioteca si avvia verso il cimitero dei cetacei e con loro tutto lo scibile umano: «Mi avvicinai agli scaffali in cui si allineavano libri di scienze, di filosofia e di letteratura, scritti in tutte le lingue quanto di meglio l’umanità aveva prodotto nel romanzo, nella poesia e nel campo della storia e della scienza. Predominavano comunque le opere scientifiche: i libri di meccanica, di balistica, idrografia, geografia e geologia vi occupavano un posto non meno importante delle opere di storia naturale, ed era evidente che costituivano la lettura preferita del capitano Nemo».

Chi ha letto L’isola misteriosa, ricorderà che nel sogno post babelico di Nemo il Nautilus sarà la sua bara e il Palazzo di Granito il suo mausoleo. Il finale di tenebra di questa grande avventura, posticipato da Verne in un altro romanzo, non fa che parlarci del fatto che ogni culmine della sapienza finisce per autodistruggersi. Ma la figura di fondo che rende affascinante l’idea di trasportare i libri negli abissi marini è la scarsa adattabilità del libro all’acqua. Ne sanno qualcosa coloro che hanno visto diventare fango e polpa i libri della Biblioteca nazionale di Firenze nell’alluvione del novembre del 1966.
Il libro non galleggia né la carta resiste all’acqua, anzi tende in modo impressionante a sciogliersi in quell’elemento da cui in gran parte proviene. Non gli è letale forse come il fuoco (l’incendio della biblioteca di Alessandria e quella di Sarajevo lo illustrano sin troppo bene) ma l’acqua gli è altrettanto nemica.
Una serie fotografica di Ileana Florescu, La biblioteca sommersa, racconta malinconica l’immersione dei libri e lo strano effetto catottrico che produce: le lettere si sfocano, le pagine si scompigliano, sembrano fluttuare leggere nel liquido ma poi sprofondano inesorabilmente e già sai che lentamente si scioglieranno. Tra i vari volumi gettati nei flutti, in quella inusuale raccolta non poteva mancare il Don Quijote, che per molti versi è ancora il libro dei libri che apre il nostro senso moderno della verità.

LE STRAMPALATE avventure dell’Hidalgo erano state scelte da Thomas Mann, già esule in Svizzera, come scena del suo primo viaggio verso gli Stati Uniti nel 1934. Solo dieci giorni per mare, e un diario in cui viene ambienta la lettura del grande romanzo (Traversata con Don Chisciotte).
Non si trattava di salvare un libro ma di stendere una specie di cordone ombelicale tra il vecchio e nuovo continente. Come Hänsel nella fiaba dei Grimm, che segna l’incerto cammino con piccole pietre luccicanti sotto la luna, Mann pone con le sue osservazioni di lettore un’ideale ipoteca sul ritorno. Ce lo possiamo immaginare spinto dai motori della nave e dondolato dalle onde del mare, incapricciato a non rendere del tutto vano quel tempo sospeso e però anche aggrappato a quel salvagente. «Che significa a casa? Dovrei dire Küsnacht, vicino a Zurigo in Svizzera, dove vivo da un anno come fossi in ostello più che a casa, tanto che neppure riesco a vederla come meta di una scialuppa di salvataggio?».
Già esiliato dalla Germania nazista, ritrovava in Cervantes la solidarietà per chi a una casa deve rinunciare senza riuscire a darla in pasto all’oblio. I libri da soli non fanno casa, anche se a volte ne sono un simbolo o solo un rimasuglio, come già era stato per il capitano Nemo.

I LIBRI E L’ACQUA si incontrano anche sulla Kalimche, una barca a vela che troverete nel porto di Bari. Racconta la storia Mario Caputo. All’inizio c’è un’imbarcazione sequestrata alle organizzazioni criminali, che viene affidata all’associazione Maercobaleno: rimetterla in ordine è un pretesto perché una decina di giovanissimi a rischio imparino un mestiere. Dopo qualche mese di lavoro l’imbarcazione viene varata (è l’11 luglio 2019), e per dare una continuità a questa esperienza, Francesca Bottalico, assessora alla Città solidale e inclusiva, decide di trasformare il piccolo veliero in una biblioteca galleggiante.

ERA PREVISTO che i primi croceristi lettori fossero i bambini, e sicuramente quest’estate il piccolo bastimento adibito al trasporto di libri sarà riuscito a salpare, sempre che tra i libri ci sia Ventimila leghe sotto i mari. Portare in giro persone e libri, o portare i libri in prossimità delle persone, sembra essere un’attività abbastanza diffusa in realtà. Dalla fine degli anni Cinquanta l’Epos viaggia tra i fiordi norvegesi e ha ospitato lettori e scrittori per incontri e dibattiti; i Bokbåten in alcuni periodi dell’anno recapitano i libri tra le isole di Stoccolma; così fanno pure alcune piccole imbarcazioni nel Laos, che distribuiscono libri nei villaggi sparsi lungo il Mekong; da una decina d’anni sulla rotta Civitavecchia – Barcellona si svolge una fiera libraria, per sbarcare proprio nel giorno di San Jordi, 23 aprile, quando le Ramblas si riempiono di bancarelle di libri. Tutte queste attività rispondono a una percezione abbastanza gioiosa dell’uso del libro ma certo non sfuggono a quell’immagine per cui la biblioteca galleggiante, o sommersa, è un compromesso tra il restare e l’andare, l’abbandonare e il trasferire. Insomma, la biblioteca galleggiante pare una grande metafora della memoria nomade.
Per Olov Enquist era rimasto affascinato dall’inabissarsi del Nautilus nelle profondità della caverna, tanto che intitolò un suo romanzo La biblioteca del capitano Nemo (1991), pensando però all’esito dell’Isola misteriosa. Il narratore, uno sbandato, sembra vagheggiare questo destino tombale per la biblioteca del capitano.

MA LA REALTÀ è che si sa poco di questa raccolta di libri: dovrebbe esistere un registro che non si ha mai il tempo di stilare, come se ciascun volume della leggendaria biblioteca fosse qualcosa ancora da scrivere, fosse quel qualcosa che si vorrebbe poter scrivere eppure non si riesce mai a fare. «Ecco come l’avevamo immaginato quella volta, come l’avevamo programmato: di poter vivere senza dolore, per sempre sprofondati nella biblioteca del Capitano Nemo», crede di ricordare confrontandosi con la sua giovinezza. E benché dichiari sin dall’inizio di aver ispezionato quasi tutta la biblioteca per ordinare la storia, sembra che neppure si ricordi granché di tutto quel che, tanto o poco che fosse, ha potuto leggere.