La redazione consiglia:
Storia dolorosa di un’identità di confine tra Italia e NigeriaDue ragazzi fuggono dalla Bielorussia destinazione Francia, il sogno di un’altra vita che da «clandestini» rischia di portare a una nuova condizione senza orizzonti. Lontano da quei confini europei blindati, sul Delta del Niger altri ragazzi lottano per la loro terra contro lo sfruttamento e la devastazione ambientale di un colonialismo (francese e non solo) che non è mai finito. Se fossi nato in Europa farei il danzatore, il «Disco Boy» dice al compagno di battaglia il loro leader. Lui e la sorella, bellissimi e misteriosi con un occhio che li rende unici e simbiotici rispetto a ogni altro, quando danzano insieme fermano il mondo: un incanto di cuore, movimento,emozioni, tempo che si dilata e si contrae seguendo il ritmo dei loro passi e di un respiro che arriva dal profondo.
Disco Boy, il film italiano in gara alla Berlinale, che sarà in sala il prossimo 9 marzo, è l’esordio nel lungometraggio di Giacomo Abbruzzese, giovane regista di Taranto, che vive e lavora in Francia, il cui talento è già visibile nei corti (Stella Maris, 2014; Fame, 2017) e nel documentario America (2020). Un’opera prima sorprendente, anche nelle sue incertezze, per la capacità del suo autore di mettersi in gioco e sperimentare in modo costante rispetto al proprio soggetto una forma, cosa per nulla scontata specie oggi che la scrittura prevarica e si impone alla visione. Sono dunque le immagini la scommessa di Abbruzzese per tracciare questa cartografia del contemporaneo che dichiara nello sguardo il suo punto di partenza, l’occhio e le sue variazioni che è poi il cinema nella sua essenza, il guardare e il vedere, e la distanza che costruisce una narrazione. E in una macchina produttiva che porta in sé queste esigenze – il film è girato in più luoghi, Francia, Polonia, Reunion, Islanda, il cast comprende Croazia, Costa d’Avorio, Nigeria – con uno sforzo importante che non è, appunto, solo tecnico ma dialoga con la cifra poetica e politica dell’opera.Alexsei ai servizi della Legione straniera viene spedito in Nigeria, Jom è un attivista. I loro destini si intrecceranno.

COSA CERCHIAMO nelle immagini? Quale è la loro verità che si produce a favore di ciò che si vuole vedere, che asseconda le aspettative? La giornalista di una qualsiasi emittente Usa arriva in Nigeria per filmare i«ribelli» che a loro volta si mostrano come lei li vuole: Jomo il giovane guerrigliero armato di mitra e mascherato che sfida la rapacità del governo – e dell’ Occidente sparando in aria e recitando da guerriero. Filma dice lei al suo operatore la messinscena a suo favore, sono pericolosi racconterà all’audience. Le ragioni della resistenza non interessano, e loro lo sanno bene, quell’informazione li ha già etichettati senza preoccuparsi del disastro ambientale, della catastrofe che ha distrutto fiumi e vegetazione rendendo poverissime le persone tutto avvelenato dal gas e dal petrolio che bruciano senza tregua. Come si può invece guardare in modo diverso, lavorare con una sensibilità che risveglia i sensi invece di addormentarli, uno «shoot» che non spara ma è una carezza potente come una scossa tellurica?
Alexsei (Franz Rogowski) è scappato dalla Bielorussia, in Francia lo «accoglie» la Legione straniera, pochi anni e avrà un passaporto e la cittadinanza in cambio dei servizi nelle cause sporche nel mondo. Ho voluto mostrare l’orrore della guerra dando la stessa dignità emotiva a entrambi i campi, ma allontanandomi dagli stereotipi di virilità e violenza, Giacomo Abbruzzese

È FORTE, determinato, tra i migliori nell’allenamento, si chiamerà Alex d’ora in avanti coi compagni viene spedito in Nigeria per massacrare i ribelli. Jom è un attivista (il magnifico Morr Ndiaye, scoperto grazie a un film prodotto da Dugong, tra i coproduttori di Disco Boy, girato in un centro di accoglienza dai rifugiati con gli smartphone, dove lui era arrivato dalla Libia partendo quindicenne dal Gambia) combatte per la sua terra, è questo significa una repressione violenta contro il suo villaggio. Che hanno in comune? Sono entrambi «stranieri» rispetto a quell’Europa che è per uno l’obiettivo di vita, per l’altro un nemico feroce,mentre sua sorella (Laetitia Ky, attivista e artista della Costa d’Avorio, vista in La nuit des Rois di Philippe Lacote negli Orizzonti veneziani) ambisce anche lei di arrivarci, divenendo il centro e il riferimento di un viaggio che è cambiamento e scelta di vita.

NON SIAMO però in uno scontro maschile piuttosto è un prisma di specchi che costruisce Abbruzzese, allargato, mutante, in cui si afferma una progressiva conquista di consapevolezza da parte di chi è corpo o merce per combattere o per sedurre. Imparare a guardarsi e a guardare l’altro, smascherando la strategia di chi controlla, domina, impone, grazie a quell’«occhio magico» che permette di vedere oltre la realtà e dentro di essa.

ABBRUZZESE dilata il tempo, sovraespone i contorni dei personaggi, i luoghi sono famigliari e insieme irriconoscibili, lo spazio è quello della notte, il sentimento di una progressiva allucinazione – grazie alla complicità della fotografia di Helen Louvart – che la musica dei Vitalic mai colonna sonora trasforma in respiro.
Parigi e la foresta africana, le memorie e l’incantesimo, i fantasmi e la danza che crea un turbine magnetico, una narrazione liquida come l’acqua su cui scivolano i protagonisti, che li nasconde e li uccide, li mimetizza e li tradisce. Dove la dimensione realistica e quella fantastica scivolano l’una nell’altra, tra le piste disseminate dall’autore nelle quali lo spettatore può trovare il proprio sguardo, perché non c’è una risposta netta, pre-stabilita a orientarlo, se non l’occhio che ciascuno riesce a creare.