A cosa serve la scrittura? Per quale ragione mettersi a narrare? Forse la risposta più appropriata è ancora quella di tanto tempo fa, che indica nella letteratura lo strumento per andare alla ricerca del tempo perduto, per poterlo ritrovare e, in qualche maniera salvare, donandogli un senso che lo sottragga all’irrilevanza. Certo la vita, come ha detto qualcuno, in fondo è solo «una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e di furore, che non significa nulla». Eppure da sempre gli umani sono affascinati dalle storie, se le raccontano, le ascoltano. E se la vita non ha senso, le storie ne hanno. Soprattutto quando vanno a toccare temi e argomenti scottanti, importanti per la società e i suoi membri. E quella di Sabrina Efionay, la sua «incredibile storia vera» raccontata in Addio, a domani (Einaudi, pp. 181, euro 16) snocciola molte questioni che, nella nostra epoca, hanno acquistato una rilevanza particolare.

L’AUTRICE È UNA GIOVANE donna, nata nel 1999 a Castel Volturno da genitori nigeriani. Sua madre, Gladys, una schiava del sesso, ragazza arrivata in Italia come tante con l’illusione di una vita migliore, finita per essere sfruttata dai suoi compatrioti, un giorno attraversa la strada e consegna la figlia appena nata, un fagottino di appena undici giorni, ad Antonietta, la dirimpettaia, chiedendole di crescere la sua bambina. In seguito, quella stessa bambina risalirà alle proprie origini e ora è riuscita a raccontare la sua vicenda biografica in questo libro. È una storia che si dipana tra l’Italia e la Nigeria ed è anche una trama che rimanda a un’identità di confine. Sabrina è italiana, vive, studia in questo paese, ma è pure nigeriana e mostra una profonda consapevolezza di queste sue radici.

LA SUA VITA è come se si svolgesse all’interno di uno spazio che è contemporaneamente un ponte e una frattura, una ferita e una medicina. Attraverso la sua storia, il lettore entra in contatto con il dolore, le prepotenze, le difficoltà affrontate e subite dalla protagonista. Ma anche con i momenti di gioia, amore e soddisfazione. E, intanto, come in ogni romanzo di formazione, la ragazzina cresce, cambia, matura, acquistando coscienza. Una consapevolezza che le garantisce la propria individualità, la propria particolarità. Spesso segnata dalla sofferenza, ma che al tempo stesso la unisce ad altri, le permette di essere parte di una comunità, incorniciando la sua esistenza in uno spazio collettivo e politico.

Addio, a domani è un libro politico, dunque, sia per le tematiche affrontate che per le modalità con cui vengono esaminate. È un romanzo vero, prodotto letterario per il livello della scrittura, per la struttura e la sua costruzione. Così, la difficoltà nel fronteggiare una materia tanto incandescente e personale, porta l’autrice a compiere precise scelte narrative. Prima di tutto, gli eventi sono raccontati in terza persona: Sabrina scrittrice, cioè, narra gli avvenimenti relativi a Sabrina personaggio. Ma a questi capitoli se ne alternano altri in seconda persona, in cui l’autrice si rivolge direttamente alla madre naturale. Questa alternanza di distacco e partecipazione profonda è un dispositivo che rende ancora più coinvolgente la lettura.

LA SCRITTURA, poi, chiara, scorrevole e al tempo stesso assolutamente letteraria e originale è frutto anche dell’apprendistato dell’autrice. Questo, infatti, non è il suo libro d’esordio. Sabrina Efionay ha già pubblicato alcuni romanzi d’amore, del genere cosiddetto young adult (il primo è stato recensito su il manifesto del 20 giugno 2016).