Sul banco degli imputati del Giurì d’onore reclamato da Giuseppe Conte con una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana, preannunciata a Mattarella, spiegata in conferenza stampa convocata d’urgenza, ribadita in apposito videomessaggio, ci sarà Giorgia Meloni. Il colpo a effetto di ieri, trovata di grande apparenza scenica e scarsa sostanza, ha però per obiettivo l’altra prima donna della politica italiana, Elly Schlein.

La missiva, scritta in schietto stile leguleio, accusa la premier di aver prodotto, con le sue dichiarazioni in aula sul Mes e sugli impegni in merito assunti dal governo Conte, «effetti lesivi della mia onorabilità». Ma non è solo una questione personale, anche se l’ex premier considera «la più grave accusa che mi si possa muovere», l’addebito di essersi mosso «alla chetichella», ignorando il mandato parlamentare. Questo però è ancora il meno. L’intemerata presidenziale sarebbe «suscettibile di produrre un’alterazione della fisiologica dialettica dei rapporti tra Governo e Parlamento, con diretto impatto sull’assetto istituzionale del nostro ordinamento democratico e costituzionale». Sorbole!

Il Giurì si riunirà, come già sul caso Cospito. Lo comporranno membri dell’Ufficio di presidenza della Camera non appartenenti ai partiti parte in causa, dunque né di FdI né del M5S, e lo presiederà pertanto uno dei due vicepresidenti di altra formazione politica, o Mulè di Fi o Anna Ascani del Pd. Le conclusioni saranno poi sottoposte all’aula che però non viene chiamata a votare. Il Giurì, peraltro, non ha potere sanzionatorio: può tutt’alpiù rimettere la questione, una volta emesso il “verdetto”, nelle mani dell’Ufficio di presidenza. Insomma, di concreto non uscirà nulla ma del resto non è questo l’obiettivo di Conte. L’ex premier mira a imporsi come vera controparte di Meloni e infatti la sfida direttamente, nel videomessaggio, proprio sul terreno minato della riforma del Mes: «Io ho sempre agito in modo trasparente, tu invece cosa farai, quando risponderai, quando ti assumerai le tue responsabilità?».

Il leader dei 5S è impegnato in un duello con la collega che guida il Pd non solo in vista delle europee ma anche per la leadership dell’ancora molto eventuale “campo largo”. L’aggressione diretta da parte della premier a Montecitorio, quella per la quale chiede ora il Giurì, gli è probabilmente dispiaciuta molto meno dell’attacco contro Elly Schlein da Atreju, che restituiva alla leader del Pd quella centralità nel campo dell’opposizione che l’«avvocato del popolo», forte anche del vantaggio netto in termini di popolarità personale nei sondaggi, non ha intenzione di cedere.

Buona parte della battagliera conferenza stampa Conte la dedica dunque al Pd. A Prodi, che aveva incoronato Schlein come “federatrice” del centrosinistra risponde a muso duro: «Federatrice sì ma delle correnti Pd spero. Ci vuole chiarezza sulle loro posizioni sulla questione morale, sulla transizione verde e sulla politica estera». Già che ci si trova marca, poco prima della conferenza stampa, due punti di diversificazione dal Pd, uno più pungente dell’altro. Su Gaza scarta rispetto alla prudenza estrema di Schlein, che è alle prese con un partito diviso: «È vergognoso che i Paesi occidentali non sanzionino il governo israeliano». Sull’Ucraina è peggio: «L’unica strada è il negoziato di pace con la Russia». Quando gli chiedono di Draghi papabile per una carica europea irride proprio il Pd, anche se con allusione non a Schlein ma al predecessore Letta: «Sono rimasto all’agenda di Draghi: aspetto ancora di capirla». Senza contare proprio il Mes, dove le posizioni dei 5S cozzano frontalmente con quelle dei possibili alleati. La replica del Pd è laconica, «Non rispondiamo agli attacchi di Conte», ma certo come viatico per il “campo largo” l’assalto non è dei migliori.

Non significa certo che “Giuseppi” voglia rinunciare all’alleanza con i democratici. Assicura anzi che «il seme è già stato piantato con il salario minimo anche se la strada è ancora lunga». Il problema non è l’alleanza: è chi la guiderà. Proprio per questo il duello nell’opposizione è molto più letale delle azioni di disturbo nelle quali si produce sull’altra sponda Salvini.