Greenpeace Italia e ReCommon si sono rivolti alla Suprema Corte di Cassazione per chiederle di confermare la competenza del giudice ordinario italiano nell’azione chiamata «Giusta causa», avviata nel 2023 davanti al Tribunale di Roma dalle due organizzazioni e da 12 cittadini e cittadine residenti in aree del nostro paese particolarmente colpite dai cambiamenti climatici, nei confronti di Eni, del ministero dell’Economia e finanze e di Cassa depositi e prestiti.

Un comunicato di Eni ha dato l’interpretazione dell’azienda: le due associazioni ambientaliste, con il loro «ricorso per regolamento di giurisdizione» alla Cassazione, vogliono allungare i tempi, forse per «continuare nella campagna di disinformazione», quando un’udienza era già stata fissata dal Tribunale di Roma per il 13 settembre, per una pronuncia sulle eccezioni preliminari sollevate da Eni, Mef e Cdp.

«È IL CONTRARIO», hanno reagito le due associazioni: «Il ricorso in Corte di Cassazione nasce dall’esigenza di definire al più alto livello giudiziario se nel nostro paese sia possibile procedere legalmente per tutelare i diritti umani messi in pericolo dall’emergenza climatica causata dalle attività umane». Certo, «contestualmente al ricorso alla Corte di Cassazione, abbiamo formulato istanza di sospensione della Giusta causa, come prescritto dal codice di procedura civile», ha chiarito l’avvocato Matteo Ceruti. «Siamo determinati a ricorrere a ogni strumento legale per fermare la strategia di espansione del petrolio e del gas», ha detto Simona Abbate di Greenpeace. A Eni la Giusta causa contesta «di essere responsabile a livello globale di un volume di emissioni di gas serra superiore a quelle rilasciate dall’Italia nel suo complesso».

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SI CHIEDE AL TRIBUNALE di Roma l’accertamento della responsabilità per danni cagionati ai cittadini ricorrenti e inoltre – a titolo risarcitorio e inibitorio – la condanna dell’azienda a ridurre del 45% le emissioni effettive di gas climalteranti entro il 2030, cambiando davvero piano industriale davanti alla più grande sfida del XXI secolo e alle sue infinite ripercussioni ambientali e umane. Si chiede poi che al Mef e a Cdp si imponga di adottare politiche vincolanti per la loro partecipazione in Eni.

L’AZIENDA E GLI ALTRI CITATI avevano eccepito un «difetto assoluto di giurisdizione», dunque l’inammissibilità del ricorso. Questa stessa base è già stata al centro di un «precedente negativo», sottolineano Greenpeace e ReCommon, quando a febbraio il tribunale di Roma in primo grado l’ha evocata per dichiarare inammissibile la causa detta «Giudizio universale» indetta contro lo Stato italiano dall’associazione A Sud: il potere giudiziario non avrebbe competenza, a differenza del legislatore e della politica, nel decidere le modalità di attuazione nazionale dell’accordo di Parigi. Un altro esito di questo tipo, a settembre, secondo le due organizzazioni ambientaliste e gli altri ricorrenti, «costituirebbe un pericoloso precedente che rischia di impedire ogni possibilità futura di istruire una causa climatica in un tribunale italiano, contro lo Stato o contro imprese private». Così la decisione sulla giurisdizione diventa preliminare. Alla Cassazione, le associazioni chiedono se necessario di adire la Corte costituzionale.

LA CORTE EUROPEA dei Diritti umani, con la sua sentenza dello scorso aprile, ha dato ragione alle «Anziane svizzere per il clima» che avevano citato lo Stato elvetico per inadempienza. Altri precedenti riguardano cause climatiche nei Paesi bassi, nei confronti dello Stato e della Shell. «Il difetto di giurisdizione lo ha sollevato Eni; il nostro è un ricorso preventivo – ha precisato Antonio Tricarico di ReCommon, ricordando che sono in corso 2.700 cause climatiche nel mondo -. Mi sembra segno di nervosismo il fatto che l’azienda non accetta il confronto pubblico».

DAL CANTO SUO, Eni sostiene di non essersi «mai sottratta a fornire in giudizio tutti gli elementi a supporto della bontà del proprio operato e della propria strategia di trasformazione e decarbonizzazione». A questo Greenpeace ribatte indicando un testo sul sito specialistico Climalteranti («Anche Eni contribuisce al riscaldamento globale») che contesta le memorie di difesa presentate dall’azienda.