Sanità pubblica e questioni ambientali? Due emergenze profondamente legate. Sarebbe questa la tesi di molti membri della comunità scientifica, tra i quali il dottor Ignas Van Bebber, oncologo olandese che, tolto il camice da chirurgo, fuori dalle sale operatorie si dedica alla ricerca sulla relazione tra danno ambientale e salute umana. Ci accoglie con un largo sorriso, che lascerà poi spazio anche a frustrazione, e enormi faldoni di carte e ricerche stretti al petto. Instancabile, da otto anni Van Bebber studia letteratura scientifica da tutto il mondo per capire meglio l’impatto ambientale dell’allevamento intensivo sulla salute. I risultati della sua ricerca rivelerebbero rischi significativi per chi vive vicino agli allevamenti.

Da dove viene l’interesse medico verso l’ambiente?
Lo stato di salute si ottiene principalmente con la prevenzione. L’ambiente che ci circonda ha ripercussioni dirette sulla nostra salute: se acque, terreno e aria intorno a noi non sono inquinati, allora abbiamo un ambiente sano.

Ignas Van Bebber, oncologo olandese studia impatti degli allevamenti sulla salute delle persone
Ignas Van Bebber, oncologo olandese studia impatti degli allevamenti sulla salute delle persone

Più nello specifico, quali aspetti dell’allevamento ambientale guidano le sue ricerche e come sono iniziate?
Le ricerche sono cominciate nella nostra regione Brabant, ad alta densità di allevamenti intensivi, e dall’impatto dei prodotti di scarto come il letame. Da qui, la ricerca si è ampliata, e ho raccolto dati che legano la pratica dell’allevamento industriale a numerosi problemi di salute. Dalla letteratura sono emerse molte problematiche legate al letame, all’ammoniaca, al particolato sottile, al biossido di azoto. Per stare bene serve una visione ampia. Stiamo rovinando l’ambiente, e di conseguenza anche la nostra salute.

La prossimità ad allevamenti intensivi, quindi, può essere un potenziale fattore di rischio per la salute dei «vicini di casa»?
Gli allevamenti intensivi producono alte quantità di sostanze inquinanti e patogeni, un pericolo specialmente per i bambini, gli anziani e chi soffre di malattie croniche più o meno gravi. Secondo uno studio statunitense del 2019, vivere a distanza di fino a 2,4 chilometri da un allevamento intensivo aumenta il rischio di malattia più che a distanza di 8 chilometri: gli allevamenti intensivi sono importanti fonti di inquinamento atmosferico.

Le emissioni di ammoniaca sono per il 95% prodotte dal settore agrario: direttamente dagli allevamenti intensivi e indirettamente poi dagli impianti agricoli con l’uso di composti fertilizzanti. In che modo queste emissioni sarebbero pericolose?
I gas di ammoniaca sono pericolosi. Una volta rilasciata nell’ambiente, a contatto con l’atmosfera e altre sostanze inquinanti, l’ammoniaca reagisce e si trasforma in particolato PM2.5, estremamente dannoso per la salute. Ha la capacità di penetrare molto in profondità nelle vie respiratorie, fino ai polmoni, dove irrita le membrane cellulari. Il PM2.5 è altamente cancerogeno, principalmente legato a tumori polmonari, ma non solo. Studi recenti ne hanno confermato il ruolo anche nello sviluppo di malattie croniche come la broncopneumopatia cronica ostruttiva e patologie cardiopolmonari. Il particolato sottile può inoltre trasportare virus e batteri come vettore, come emerso dal focolaio di febbre Q qui da noi.

Uno studio danese del 2020 ha rivelato come l’esposizione al particolato sottile e al biossido di azoto aumenti il rischio di asma e difficoltà respiratorie nei bambini. Si può parlare di allevamenti intensivi come effettivi fattori di rischio?
Tutte le emissioni del settore industriale, dei trasporti, e agrario contribuiscono sostanzialmente all’inquinamento atmosferico, ma le ultime rimangono le meno monitorate. Vivere vicino ad elevate quantità di animali, allevati nelle particolari condizioni previste dal sistema intensivo, può peggiorare problemi respiratori preesistenti, ma anche aumentare l’incidenza di polmoniti e altre malattie respiratorie come la BPCO e l’asma negli individui sani.

Insomma, vivere vicino agli allevamenti intensivi aumenta il rischio di malattie respiratorie?
Uno studio olandese mostra maggiore incidenza di BPCO proprio in zone a concentrazione di allevamenti intensivi particolarmente densa, specialmente dai 45 anni in su. Emerge anche un aumento significativo del rischio di polmonite per chi abita vicini a diversi tipi di allevamenti. Pensate che su 40 regioni olandesi, 12 ospitano enormi popolazioni di animali cosiddetti da allevamento. Le malattie respiratorie come la BPCO sono prevalenti, e i relativi tassi di mortalità allarmanti, in 11 di proprio queste regioni.

Ci ha dato una panoramica locale, dalla quale sono partite le sue ricerche. Ma come è la situazione nel resto del mondo?
Studi che arrivano dagli Stati Uniti e dalla Cina fotografano la stessa realtà. In aree a bassi livelli di traffico o presenza industriale, ma ad alto tasso di densità di allevamenti intensivi, il particolato sottile è direttamente collegato a una maggiore incidenza di tumori ai polmoni. Altri paesi riconoscono questo problema. In Cina si sono accorti che l’inquinamento urbano non è solamente dovuto al traffico, ma proviene anche dal letame, e anche negli Stati Uniti. Dobbiamo imparare da queste esperienze. Credo fermamente che prenderci cura del nostro ambiente sia la strategia più efficace per ridurre malattie ai polmoni, al cuore e i tumori.
Il giorno del nostro incontro, il dottor Van Bebber è radioso: è il suo primo giorno di pensione. Cosa lo fa gioire? Ora potrà finalmente dedicare tutto il suo tempo a questa battaglia scientifica.