Dopo il decennio perduto, per le fonti di energia rinnovabile in Italia si profila una nuova partenza. Almeno nelle parole del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani che, all’assemblea annuale di Elettricità Futura, il ramo di Confindustria che rappresenta il gotha delle imprese elettriche italiane, ha sfoggiato la più camaleontica delle sue giacche per dare «tutto il supporto possibile alle fonti rinnovabili. Anzi, possiamo fare qualcosa di più».

Solo la settimana scorsa, il ministro aveva tacciato di irrealismo Elettricità Futura, bollata come “rinnovabilista” per aver proposto un piano straordinario per installare 60 GW di rinnovabili in tre anni da gestire grazie ad un Commissario, così da tagliare di un terzo le forniture dal gas russo. Un Commissario il ministro Cingolani l’ha nominato, ma solo per gestire i rigassificatori galleggianti per l’acquisto massiccio di GNL (gas naturale liquido) con cui rimpiazzare il gas russo: però un tavolo sulla proposta di Elettricità Futura per un decollo immediato delle rinnovabili non è mai stato aperto.

Dopo un confronto di toni duri («quando si danno i numeri, si danno i numeri», non ha perso occasione di dire il ministro), l’allineamento si è trovato su una tabella di marcia che, se non ha nulla di straordinario, promette di rispettare gli obiettivi della strategia europea RePowerEU.

Per l’Italia, secondo il nuovo piano di Elettricità Futura che piace al ministro, sarà necessario installare 20 GW di rinnovabili nel triennio 2022-24, per proseguire a un ritmo di 11 GW all’anno dal 2025 al 2030, per un totale di 85 GW di potenza. Il piano prevede un investimento di 390 miliardi, con la creazione di 470 mila posti di lavoro (oltre agli attuali 120 mila) e un valore aggiunto di 345 miliardi di benefici economici per filiera e indotto: complessivamente, si potranno così abbattere del 75% le emissioni di CO2 del settore elettrico rispetto al 1990. La quota di rinnovabili nel mix elettrico salirà all’84% (nel 2021 è stato il 41%) se verranno realizzati impianti di accumulo per complessivi 80 GWh a partire dal 2024 per immagazzinare l’energia dalle fonti non programmabili: in parte saranno batterie, ma sono previsti anche ripompaggi utilizzando adeguati impianti idroelettrici, sempre che l’acqua sia disponibile.

«Ad oggi un progresso sulle rinnovabili c’è già stato» ha detto Cingolani, snocciolando i dati di Terna sulle richieste di allacciamento reali, cioè le attivazioni effettive degli impianti, che sono state pari a 5,3 GW in questi primi sei mesi del 2022. Considerando che la media per ottenere un’autorizzazione per un impianto di livello industriale è di 5 anni, si tratta in gran parte di impianti il cui iter sarà iniziato nel 2016-17, quindi è difficile ricondurli tutti all’effetto del decreto semplificazioni del 2021. Il confronto con la pessima performance del 2021 (1,36 GW) consente di dire che il ritmo è triplicato. La strada sarà spianata solo se e quando le Regioni avranno stilato il piano delle aree idonee atteso per dicembre, quando sarà finanziata adeguatamente la commissione Via-Vas e se mai si esprimerà il convitato di pietra di ogni discussione sulle autorizzazioni delle fonti rinnovabili, il ministro della Cultura, Dario Franceschini, perché è anche dalle Sovrintendenze che passano le autorizzazioni.

A GIORNI È ATTESO IL DECRETO FER II che prende l’impegno di potenziare le rinnovabili innovative: geotermico, solare a concentrazione, carburanti sintetici, biogas, off-shore di nuova generazione per avere «un menù di rinnovabili che sia il più ampio possibile, perché tutto ciò che abbatte la C02 è necessario, anche se non è impresa facile – il refrain di Cingolani ritorna sempre – Qui abbiamo un problema di forniture: con il PNRR abbiamo potenziato la produzione di celle solari, partirà la produzione di elettrolizzatori per l’idrogeno, è partita la produzione di batterie per l’automobile, anche se in futuro con il litio non andiamo molto lontano, quindi serve investire di più in ricerca e sviluppo».

UNO STUDIO PRESENTATO all’assemblea di Elettricità Futura da Althesys dimostra che una filiera italiana per le forniture delle fonti rinnovabili esiste e che non può che essere potenziata dall’investimento di 390 miliardi. In Italia sono presenti 790 aziende il cui valore medio di produzione (2015-20) è stato di 12,4 miliardi l’anno (0,7% del PIL). Operano per lo più nelle reti, nelle componenti generiche di generazione, nelle bioenergie, nel geotermico e nelle pompe di calore; più scarsa la presenza di aziende che producono per il settore idroelettrico e la digitalizzazione, mentre mancano le imprese delle componenti di base del solare, dell’eolico, degli accumuli e della mobilità elettrica. Va da sé che una strategia per la filiera «passa dallo snellimento dei sistemi autorizzativi, dell’elettrificazione dei consumi e dalla digitalizzazione del sistema energetico», ha sottolineato Alessandro Marangoni, amministratore delegato di Althesys.

IL TEMA DEI TEMI È DOVE INSTALLARE i grandi impianti di pannelli fotovoltaici, pale eoliche e accumuli: secondo Elettricità Futura per realizzare il piano saranno necessari 90 mila ettari di superficie, pari allo 0,3% della superficie italiana (in Germania, solo per l’eolico su terra è previsto l’utilizzo del 2% della superficie). «I primi 30-35 GW prevalentemente di fotovoltaico ed eolico saranno impianti di cui è già partita la progettazione localizzati al Sud e nelle isole maggiori – ha detto Francesco Del Pizzo, direttore Strategie Sviluppo Rete e Dispacciamento di Terna – e gli accumuli dovranno necessariamente inseguire l’autorizzazione degli impianti».

NELLO SCENARIO di decarbonizzazione, la quota crescente di energie da fonte di rinnovabile dovrebbe erodere progressivamente quella prodotta con il gas. Quanto gas stiamo acquistando e per quanto tempo è un’altra incognita per il decollo delle rinnovabili. L’accordo appena siglato da Eni con Qatar Energy per la produzione di GNL nel North Field East ha una durata di 27 anni a partire dal 2025. Come sottolinea lo studio The future role of gas in a climate-neutral Europe pubblicato nei giorni scorsi da fondazione Heinrich Böll e dall’associazione Deutsche Umwelthilfe “c’è l’alto rischio che il desiderio di indipendenza dal gas russo si traduca nella dipendenza dell’Ue dal gas fossile oltre lo stretto necessario. Investire in nuovi gasdotti o in terminal per il Gnl per diversificare le fonti di approvvigionamento può introdurre nuovi vincoli poiché questi progetti vengono finanziati con contratti di fornitura a lungo termine, ma senza produrre risultati immediati nel caso di una potenziale crisi di fornitura, a causa dei tempi lunghi di consegna».