I Sessant’anni anni dopo il golpe, in Brasile i militari fanno ancora paura. Era il 31 marzo del 1964 quando il colpo di stato guidato dal generale Humberto de Alencar Castelo Branco poneva fine al governo democratico del presidente João Goulart, accusato di essere «al servizio del comunismo internazionale». La sua colpa, voler promuovere le cosiddette “Reformas de base”: quella agraria prima di tutto, per realizzare quella democratizzazione della terra che il paese ancora attende dopo 60 anni, e poi la riforma educativa (nel segno della pedagogia di Paulo Freire), quella fiscale, quella urbana. Un golpe attivamente sostenuto dagli Stati uniti, come avrebbero dimostrato nel 2004 i documenti desecretati e messi online presso il National Security Archive, indicando il coinvolgimento, tra gli altri, di Lyndon Johnson (ma già John F. Kennedy progettava un’azione militare contro Goulart), Robert McNamara, Lincoln Gordon (ambasciatore degli Usa in Brasile).

Il presidente deposto sarebbe poi morto in Argentina il 6 dicembre del 1976, alcuni mesi dopo il golpe del generale Videla: ufficialmente di attacco cardiaco, ma forse avvelenato nel quadro dell’operazione Condor. E con lui sarebbero stati uccisi o fatti scomparire 434 oppositori, secondo il rapporto sui crimini della dittatura militare presentato dalla Commissione nazionale per la verità (Cnv) alla fine del 2014.

E ANCHE SE, in confronto ai 30mila desaparecidos argentini, la cifra può apparire modesta, le atrocità documentate nel rapporto non sono meno impressionanti. Soprattutto a partire dalla promulgazione, nel dicembre del 1968, dell’AI-5: l’Atto istituzionale che avrebbe dato avvio alla fase più brutale della dittatura, attraverso la chiusura del Congresso, l’istituzionalizzazione della repressione e della tortura, la censura dei mezzi di comunicazione, la sospensione dei diritti politici degli oppositori. A 10 anni da quel rapporto, l’auspicio della Cnv riguardo a una «piena riconciliazione» dei militari con la società brasiliana risulta largamente disatteso, come ha indicato in maniera clamorosa la loro partecipazione agli atti golpisti dell’8 gennaio del 2023, ma anche come suggerisce la lettura del colpo di stato del 1964, da parte di ampi settori delle forze armate, come «movimento democratico» impegnato a «salvare» il paese dal comunismo.

È ANCHE per questo che ha provocato delusione e sconcerto la decisione di Lula di evitare qualsiasi atto commemorativo ufficiale per i 60 anni dal golpe: l’anniversario sarà trattato «nel modo più tranquillo possibile», aveva detto il presidente il 27 febbraio in un’intervista a RedeTv!, affermando di essere «più preoccupato per il golpe del gennaio del 2023 che per quello del ‘64». Per lui, il colpo di stato di 60 anni fa «è ormai parte della storia» e i militari di oggi «erano bambini a quel tempo: alcuni neppure erano nati». Per cui, ha detto, «non voglio continuare a rivangare»: è, al contrario, il momento di «ricostruire la fedeltà dei militari».

In mezzo alle indagini sui fatti golpisti del 2023 che hanno investito in pieno le forze armate, Lula, insomma, non ha avuto alcuna voglia di aprire un nuovo fronte polemico con i militari, ritenendo che la strada migliore fosse far passare tutto sotto silenzio. Le sue parole, tuttavia, non sono affatto piaciute alle 150 organizzazioni che compongono la “Coalizão Brasil por Memória, Verdade, Justiça, Reparação”: «Ripudiare con veemenza il golpe del 1964», hanno scritto, non significa affatto «rivangare il passato», bensì «riaffermare l’impegno a punire i colpi di stato anche del presente» e scongiurare «eventuali tentativi futuri».

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E UGUALE SCONCERTO ha espresso Iara Xavier dei Familiares dos Mortos e Desaparecidos Políticos, definendo la dichiarazione di Lula «molto offensiva», «perché chi ha avuto familiari uccisi, arrestati, torturati, chi è stato esiliato, chi ha osato opporsi al regime militare e ne ha sofferto le conseguenze merita come minimo rispetto». Quel rispetto che il presidente aveva mostrato nel modo più convinto incontrandosi in Argentina con le Madri di Piazza di Maggio nel gennaio del 2023 e che invece ha negato ai familiari delle vittime della dittatura brasiliana che pure portano avanti la stessa lotta, addirittura lasciando senza risposta la loro richiesta di essere ricevuti.

Né Lula ha mantenuto la promessa di ricostituire la Comissão Especial sobre os Mortos e Desaparecidos Políticos (Cemdp) – soppressa da Bolsonaro il penultimo giorno del suo mandato – malgrado la raccomandazione in tal senso giunta recentemente dal Ministero pubblico federale. Non dare seguito alla ricostituzione della Cemdp sarebbe, evidenziano in una nota diffusa il 9 marzo gli organismi in difesa dei diritti umani, «un’omissione imperdonabile», «un errore storico» e «una viltà inesplicabile».