Attacco informatico. E gli Usa restano senza hamburger
Stati Uniti L’incursione ha paralizzato le linee produttive dell’azienda, costringendola a chiudere tutte e nove le sue catene di montaggio
Stati Uniti L’incursione ha paralizzato le linee produttive dell’azienda, costringendola a chiudere tutte e nove le sue catene di montaggio
Un virus ha bloccato la produzione di carne negli Usa. Non ha niente a che fare con la biologia. È un virus informatico. Un attacco hacker ha paralizzato i computer del più grande distributore di proteine animali degli Usa, la Jbs, obbligandolo a chiudere tutte le fabbriche nel paese e persino quelle in Canada e nella remota Australia. È un attacco del genere ransomware: paghi un riscatto e il pirata informatico ti sblocca i computer.
È INIZIATO lo scorso weekend, e per giorni è rimasto segreto. A rivelarlo è stata alla fine l’agenzia economica Bloomberg, che martedì 1 giugno ha citato fonti sindacali: «Stanno chiudendo tutto». Mentre le ore passavano, i computer non ripartivano, la catena di distribuzione della carne si inceppava sempre di più. La rivelazione ha infiammato la Casa bianca, Washington accusa pirati russi ma fa anche sapere di «lavorare con il governo di Mosca». Di bistecche parleranno Biden e Putin nel loro prossimo incontro a Ginevra, ha detto il portavoce del presidente americano, fermandosi a poca distanza dall’accusare Putin di aver controllato l’operazione.
Ieri i computer sono lentamente ripartiti, insieme alla catena produttiva. I singoli stabilimenti hanno approntato piani di riapertura e tra oggi e domani la Jbs ha dichiarato che dovrebbero ripartire tutti. Ma sulla crisi dell’hamburger vola lo spettro del Colonial Pipeline, il più grande oleodotto americano, colpito il 7 maggio da un attacco ransomware che aveva bloccato la distribuzione di petrolio e di benzina in 18 stati e aveva costretto il governo Biden ha dichiarare l’emergenza. Quella volta l’orgoglioso mantra di Washington, «noi non paghiamo riscatti», era andato a farsi benedire, e l’amministratore delegato di Colonial, Joseph Blount, aveva tirato fuori i 4,4 milioni di dollari (in bitcoin, naturalmente) richiesti dal gruppo DarkSide.
Ricevuto il riscatto, i pirati avevano fornito la chiave di decrittazione del blocco informatico. Per riavviare il sistema c’erano comunque voluti nove giorni. Chissà se i macellai hanno pagato: per le bistecche, nove giorni sarebbero un disastro epico.
JBS È IL PIÙ GRANDE elaboratore di carne del pianeta. Sono le iniziali di José Batista Sobrinho detto Zé Mineiro, l’intraprendente brasiliano che a vent’anni, nel 1953, fondò un’azienda per rifornire di filetti i costruttori della nuova capitale del suo paese, Brasilia, e che oggi è il principale produttore di carne del mondo. Ad essere stata colpita è la sua divisione americana – quella che rifornisce la popolazione più nutrita di carne rossa della storia: 120 chili l’anno a testa negli Usa, poco meno in Australia e Nuova Zelanda – la media mondiale è di 43 chili, quella dei paesi sviluppati è 76 chili (dati della Fao).
Jbs Usa è il fornitore di McDonald’s, l’archetipo dell’hamburger nel mondo e negli Stati uniti, dove è una specie di diritto umano, quasi come il voto. L’attacco ha rapidamente paralizzato le linee produttive, costringendo Jbs a chiudere una dopo l’altra tutte e nove le sue catene di montaggio dell’hamburger. Arizona, Texas, Nebraska, Colorado, Wisconsin, Utah, Michigan e Pennsylvania, tutte hanno rimandato a casa le migliaia di lavoratori delle linee produttive, mentre in Canada chiudeva la fabbrica nell’Alberta e dall’altra parte del Pacifico chiudeva lo stabilimento australiano nel New South Wales. La paura è che un fenomeno del genere possa ripetersi, e questa volta arrivi sulla tavola e nelle tasche degli americani – eventualità non ancora del tutto sventata.
PARTE DELLA DEBOLEZZA del sistema-bistecca americano è nell’infernale meccanismo di produzione e lavorazione della sacra fettina. Il settore è in mano a un pugno di giganti internazionalizzati, Jbs stessa è brasiliana ma gli altri big come Cargill, Smithfield e Tyson non si comportano diversamente. Sono tutti spietatamente impegnati a ridurre ogni possibile costo di produzione e stoccaggio, ma il just in time potrebbe costar loro molto caro. La prima mazzata l’avevano presa con il Covid. Lo scorso anno gli Stati uniti avevano conosciuto il terrore della penuria di carne rossa: costretti a mulinare le mannaie in postazioni molto ravvicinate, centinaia di operai della carne si erano infettati e poi ammalati, e decine erano morti. Alla fine dell’aprile scorso, quando esplose il problema, le vittime accertate erano 20 ma molte di più erano quelle attaccate ai respiratori negli ospedali.
E gli stabilimenti chiudevano o riducevano la produzione. «Lo spazio costa», aveva osservato Steve Mayer, economista del broker di materie prime Kerns and associates quando arrivarono le istruzioni del ministero della sanità: almeno sei piedi di distanza tra un lavoratore e l’altro. Era il doppio di quanto previsto dai giganti della carne. E niente è cambiato. “Al confronto, la crisi del giugno 2009 (quasi due milioni di hamburger Jbs ritirati perché contaminati da escherichia coli) sembrerà uno scherzo
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