L’eccezionale tragedia vissuta dalla famiglia Regeni, con il sequestro, la tortura e l’uccisione del ricercatore Giulio Regeni merita più del nostro dolore condiviso, chiede impegno per la verità e perfino silenzio di fronte a accuse e incomprensioni delle quali siamo oggetto.

Certo non ci riconosciamo nelle dichiarazioni fatte alla presentazione lunedì sera dell’importante libro «Giulio fa cose» scritto da Paola Deffendi, Claudio Regeni con Alessandra Ballerini, né con alcune pagine del libro medesimo.

Il poster del manifesto e di Mauro Biani per Giulio Regeni, gennaio 2018
Il poster del manifesto e di Mauro Biani per Giulio Regeni, gennaio 2018

 

Il manifesto, sul Medio Oriente, è stato ed è quello dell’inviata Giuliana Sgrena e dell’allora collaboratore Vittorio Arrigoni: un giornalismo d’inchiesta in prima persona, per un ruolo quotidiano esercitato con passione.

Sulla vicenda di Giulio Regeni possiamo avere commesso qualche errore, come abbiamo già raccontato – v. l’editoriale «Cinque chiarimenti doverosi» sul manifesto del 16/2/2016 – ma sempre con l’intento di denunciare il crimine di Stato che già dalle prime ore veniva fatto passare dal regime di al-Sisi come incidente stradale o reato sessuale.

Per quello, non per bassi motivi strumentali, decidemmo la pubblicazione del suo articolo scritto a quattro mani – peraltro già uscito sull’agenzia Nena News: dopo quattro anni la verità è tutta in quella testimonianza decisiva.

Ci resta il rammarico, amarissimo e dolorosissimo, di non avere mai potuto parlare direttamente con i familiari, per spiegarci, per scusarci.

Abbiamo un solo interesse in questo momento: senza divisioni, chiedere ad alta voce il ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo. Quella sede è ormai un comitato d’affari, alla faccia della ricerca della verità vantata dai vari governi.