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Amal Bentounsi, la candidata di casa nella periferia parigina

Amal Bentounsi, la candidata di casa nella periferia pariginaAmal Bentounsi, candidata del Nuovo fronte popolare – Getty Images

Veni, vidi, Vichy Nel 2012 la polizia gli ha ucciso il fratello minore, Amine. Dai movimenti antirazzisti è approdata al Nuovo fronte popolare. Contro di lei a destra ha mosso accuse di omofobia. «Falso, va sradicata», la sua risposta

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 5 luglio 2024

Una signora di una certa età, sorretta dalla figlia, si fa strada faticosamente tra i banchi del mercato. Un ragazzo con le braccia cariche di volantini del Nuovo Fronte Popolare (Nfp) cerca di attaccare bottone, porgendole un dépliant. «Non m’interessa – dice la signora schivando il giovane – tanto son sempre gli stessi che vanno in Parlamento!».

Amal Bentounsi, la candidata del Nfp, si volta, si dirige verso la signora, poi dice all’indirizzo della figlia che la sorregge: «Sophie! Come va?». Madre e figlia abbracciano «la petite Amal», scambiano convenevoli, chiedono notizie sulla salute di parenti. Nel giro di qualche minuto, al momento del commiato, l’anziana signora promette che voterà per la candidata: «Giuro!». Bentounsi ringrazia, tra un bacio sulla guancia a un’altra passante e un saluto a un lavoratore del mercato.

Dire che la candidata promossa da La France Insoumise (Lfi) è «ben impiantata» in questa parte del comune di Meaux, nella lontana periferia a est di Parigi, è un eufemismo. «Io stessa ho tenuto un banco di articoli di moda per dieci anni, qui», racconta Bentounsi, che è cresciuta nei quartieri popolari di questa cittadina di cinquantamila abitanti a una cinquantina di chilometri dalla capitale.

Candidata a sorpresa da Lfi, Bentounsi è una delle figure di spicco dei movimenti contro le violenze della polizia che, nell’ultimo decennio, hanno imposto nello spazio politico e mediatico il dibattito sul razzismo sistemico della République e, in particolare, delle sue forze dell’ordine. Nel 2012, il fratello minore di Bentounsi, Amine, venne ucciso da un poliziotto durante un inseguimento: quattro colpi di pistola alla schiena. L’agente è stato accusato di omicidio di primo grado, cosa che spinse centinaia di suoi colleghi a manifestare armati sugli Champs-Elysées.

All’epoca gli agenti furono ricevuti e sostenuti tanto da Nicolas Sarkozy quanto dal futuro presidente socialista, François Hollande, entrambi allora in campagna per le presidenziali. Nel 2017 l’agente è stato riconosciuto colpevole di «omicidio involontario» e condannato a cinque anni con la condizionale (è tuttora in servizio a Grenoble). Da allora Bentounsi si è battuta sul fronte giudiziario e su quello politico, fondando il collettivo Urgence notre police assassine e il Coordinamento nazionale contro le violenze della polizia. «Sono stati anni difficili», dice riassumendo laconicamente un decennio durante il quale è divenuta una figura chiave dei movimenti antirazzisti francesi.

La destra più estrema non ha esitato a prenderla di mira, una volta resa pubblica la sua candidatura. Il 18 giugno, un media ultra-reazionario ha accusato Bentounsi di aver detto che «non si può rimproverare a un credente di essere omofobo, se la religione glielo comanda». In realtà, la frase era stata scritta su Facebook nel 2015 dall’account collettivo di Urgence notre police assassine e non pronunciata da Bentounsi. «Non ho mai detto niente del genere – ha reso noto l’interessata in un comunicato – Come militante antirazzista so che l’omofobia attraversa l’insieme della nostra società e che il suo sradicamento necessita un impegno quotidiano». Nel 2022, d’altronde, Bentounsi è stata tra le prime firmatarie di un appello per una «alleanza femminista e trans», in un momento nel quale il planning familial (un movimento di consultori associativi) era stato criticato per via di una campagna di comunicazione nella quale compariva un uomo trans in stato di gravidanza.

Queste polemiche sembrano non aver intaccato l’entusiasmo delle decine di militanti che affrontano da due settimane l’ora e mezzo di treno che separa Meaux dalla capitale, per venire a dare una mano alla campagna di Bentounsi. Il loro apporto è stato fondamentale, spiega Samia, attivista antirazzista e direttrice delle attività: «È una campagna elettorale fatta nell’urgenza, in quindici giorni». Al primo turno, la candidata del Nfp ha raccolto il 30% dei voti, quasi raddoppiando il numero di preferenze ricevute da Lfi rispetto alle legislative del 2022. Un risultato che le ha permesso di piazzarsi seconda, ma a quasi 6mila voti di distanza dalla candidata (deputata uscente) del Rassemblement National, Béatrice Roullaud. «Il Rn ha una squadra minuscola, sono cinque persone – dice Samia – La sua campagna la fanno CNews e BfmTv», afferma riferendosi alle reti all-news più seguite del paese.

Fino a pochi anni fa vedere un viso come quello di Bentounsi campeggiare sui manifesti elettorali sarebbe stato impensabile, tanto le istituzioni e i partiti sembravano alla meglio distanti o alla peggio ostili a personalità con un simile profilo. Nel 2014, per esempio, l’ex-ministro degli Interni socialista Manuel Valls le intentò – perdendo – un processo per diffamazione, dopo che Bentounsi aveva accusato la polizia francese di «commettere violenze e crimini in totale impunità».

«Alcuni partiti come Lfi – dice Bentounsi – hanno avuto il coraggio e l’intelligenza di capire che la popolazione chiedeva di mettere in cima all’agenda politica alcune lotte». Come quelle legate al razzismo strutturale, alla violenza e all’impunità della polizia francese. Il rapporto con gli insoumis è «orizzontale, non gerarchico», afferma. Una relazione in cui intende mantenere la propria autonomia: «Ora si tratta di avanzare assieme».

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