Lo scorso gennaio alla Base Aerienne 101 di Niamey, che in queste ore di incertezza offre riparo ai circa 350 militari italiani di stanza in Niger, il generale Figliuolo certificava il «baluardo che vede operare insieme militari nigerini e italiani in una missione formativa e addestrativa delicata e complessa ma che procede senza intoppi e con sempre maggiore slancio».

Con analogo slancio d’ardore i militari nigerini ieri hanno ufficializzato il loro golpe.

Le missioni sono due, una di “partenariato militare della Ue in Niger” e una “bilaterale di supporto” (Misin), con compiti di “alta formazione” e operativi, disponendo di un centinaio di mezzi terrestri e sei mezzi aerei. Sempre di armi e del modo di utilizzarle parliamo, ufficialmente contro i jihadisti e concretamente, oltre che per i golpe, per arginare i flussi migratori all’origine o quasi, vedi alla voce «traffici illegali». Da qui nasce nel 2018, quando è stata autorizzata la missione, l’esigenza di un esercito nigerino bene armato ad efficiente.

Cinque anni dopo sono quasi diecimila le reclute che hanno completato il corso, istruiti e armate di tutto punto. In parte anche dall’Italia, dalla politica e dall’industria degli armamenti italiana, che nel ragionevole punto di sintesi rappresentato dal ministro della Difesa Crosetto, con tanti buoni propositi etici e nastrini tricolori vede con il massimo favore la spinta securitaria riproposta nel Processo di Roma.

Nella foto di gruppo della nuova giunta si distingue anche il colonnello Ahmed Sidian, che ebbe già a ringraziare calorosamente l’Italia per i servizi ricevuti. Con questa e altre entrature, vuoi vedere che mentre mezzo mondo si dispera per il regime change che ha abbattuto l’ultimo baluardo, lui sì, degli interessi occidentali in Niger, il made in Italy cade in piedi?