Negli ultimi otto anni Benedetto è stato per me come i fari della Bretagna. Anche tra le onde più alte guardando lui sapevo sempre dove fosse un porto sicuro e quale rotta percorrere. Dal 2012 a oggi ci siamo trovati ad affrontare insieme molte tempeste e a godere come due naufraghi complici i pochi momenti di bonaccia.

Fino a pochi mesi fa lui è stato il presidente della nuova cooperativa, il primo dopo un gigante come Valentino Parlato, e io ero la sua spalla.

In otto anni di lavoro insieme, abbiamo certo avuto opinioni diverse ma non abbiamo mai litigato. Non ci siamo mai divisi. E il merito è sicuramente di Benedetto, capace di ascoltare tutto e poi arrivare al massimo punto di condivisione.

Benedetto è stato la stella polare del manifesto degli anni ’10. Non ha mai smarrito il senso, la direzione, di questa lunghissima avventura comune. Se la parola non si fosse imbarbarita per l’uso politico e distorto che se ne fa, si potrebbe dire che è stato un autentico leader, cioè una persona capace di costruire una soluzione e percorrerla insieme assumendosene per primo la responsabilità.

Ci univa, e ci unisce, una certezza che vive ancora oggi: che il manifesto non dovesse mai rinunciare all’edicola, che l’ultima parola su questa lunga storia collettiva spettasse innanzitutto ai lettori. Il nostro lavoro e il nostro impegno devono essere sempre pubblici, sotto gli occhi di tutti.

È perciò al servizio della comunità di lettori, abbonati, collaboratori e sostenitori che dobbiamo operare ogni giorno. È questo il segreto del successo di questo anomalo giornale comunista, ancora oggi un caso unico in Italia e non solo. Non ci siamo mai chiusi nelle nostre stanze. Nemmeno quando sono tristi come oggi. Anzi, più siamo in difficoltà e più dobbiamo spalancare occhi e orecchie, porte e finestre.

È questa oggi la storia che vorrei raccontarvi, la storia del salvataggio di un giornale.

I direttori del manifesto sono stati tanti in questo mezzo secolo ma Valentino come presidente della cooperativa era unico e insostituibile, nessuno di noi aveva mai immaginato che un giorno non sarebbe più stato al fianco del giornale. Eppure, per un breve tempo, è accaduto l’impensabile.

Senza nulla togliere a nessuno, senza Benedetto e Norma (come dirò tra poco) il manifesto oggi non ci sarebbe più. I lettori di ieri e di domani gli devono riconoscenza. Siamo tutti in debito con loro.

In quel doloroso infarto collettivo che è stata la liquidazione coatta della cooperativa storica nel 2012, alcuni di noi avevano teorizzato che al fallimento economico del giornale dovesse corrispondere anche quello politico. Che il manifesto non avesse più senso e che si dovesse solo accompagnarlo dignitosamente alla chiusura.

La maggioranza, invece, per fortuna sapeva che se il giornale fosse uscito dall’edicola sarebbe diventato merce di scambio in qualche filiale di banca o sulla scrivania di qualche faccendiere, come è accaduto a tutti, tutti, i giornali della sinistra e non solo.

Dovevamo farci carico di un ko finanziario e contemporaneamente scommettere tutto sul successo editoriale e politico del giornale.

È evidente: eravamo impreparati, feriti da uno scontro pubblico doloroso ma autentico. Non avevamo soldi, stremati da anni di cassa integrazione e da sconfitte politiche pesanti, più grandi di noi.

Quasi per caso, Benedetto accettò con naturalezza e una buona dose di incoscienza di diventare il presidente della nuova cooperativa.

Non c’era nessun piano. Credo che per lui sia stata una scelta istintiva: reagire a un’ingiustizia, rovesciare l’irreparabile, mettere in pratica a cominciare da sé quella rivolta/rivoluzione che è il nostro orizzonte e che era lì alla portata. E così mentre Norma ha guidato il fronte politico e giornalistico della campagna di salvataggio del giornale, io e Benedetto (e Silvana e Luana, all’inizio) facevamo i «bottegai» del consiglio di amministrazione, ci assicuravamo che il giornale avesse carta e inchiostro da stampare, e la redazione fosse aperta.

Contro ogni pronostico riuscimmo, a capodanno del 2013, a inviare il giornale in edicola con la nuova cooperativa: non avevamo nemmeno avuto il tempo di aprire un conto in banca.

Col senno di poi, le divisioni di allora si sono rivelate di poca sostanza e molte ferite oggi si sono rimarginate. Dal 2015 siamo tornati padroni della testata e con essa del nostro destino.

Come presidente, Benedetto fino a pochi mesi fa era il responsabile ultimo della cooperativa, il suo rappresentante legale. Lo ha fatto con la leggerezza e la passione con cui ha vissuto. Il debito che abbiamo verso le nostre famiglie e i nostri affetti è inestinguibile. Già il lavoro di giornalista è totalizzante, ma farlo in un giornale senza editori, comunista, e in più amministrare una cooperativa povera è qualcosa che ti toglie il sonno.

Per molti anni il manifesto è venuto prima di tutto: prima delle figlie che crescevano, degli affetti che meritavano attenzione, della nostra stessa cura.

Benedetto ha affrontato questa missione alla sua maniera: con curiosità, intelligenza, gentilezza, tenacia, autoironia.

Da autodidatta, come tutti noi, era diventato un manager (altra parola orrenda) anche più navigato di quelli strapagati per far fallire i giornali. Benedetto ha guidato tutti i passaggi della nostra comune impresa, da quelli più piccoli a quelli più strategici, in una miscela unica di entusiasmo e profonda saggezza.

Nei momenti più difficili, quando lo vedevo molto preoccupato, usavo un trucchetto, che oggi posso confessare: gli chiedevo della figlia. Immediatamente i suoi occhi verdi si illuminavano e guardarlo rasserenarsi mentre raccontava di Marianna faceva felice anche me.

La sua immediatezza, la sua identità e la sua presenza di spirito Benedetto non li ha persi nemmeno negli ultimi mesi di malattia, quando le sue visite al giornale sono diventate meno assidue.

È rimasto se stesso fino all’ultimo secondo. In questo senso, Benedetto è stato il manifesto. E ogni volta che vedrò questo giornale in edicola, o sul Web, un sorriso segreto mi illuminerà il viso. So che quello è il giornale di Benedetto.