Khartoum, nonostante il prolungamento del cessate il fuoco, resta un campo di battaglia dove l’esercito sudanese del generale al-Burhan e le Forze di Supporto rapido (Rsf) di Hemeti continuano a combattere. Lo scontro è esteso a diversi quartieri della capitale: si sentono colpi di artiglieria pesante e cannoni antiaerei e in cielo continuano a volare i Sukhoi dell’aviazione sudanese fedele ai governativi.

Gli abitanti di Khartoum, Omdurman e Bahri-Khartoum North hanno assistito, fin dalle prime ore del mattino, a un’intensa attività dei caccia sudanesi che hanno preso di mira le basi delle Rsf, che hanno risposto con cannoni antiaerei.

Secondo Sudan Tribune testimoni oculari hanno raccontato di numerosi siti delle Rsf pesantemente colpiti, compreso un convoglio di mezzi blindati a Al-Inqaz Street e le posizioni difese dai paramilitari intorno alla radio e alla televisione di stato.

L’AVIAZIONE ha bombardato anche alcuni ospedali, accusando le Forze di Supporto rapido di averli trasformati in centri operativi dopo aver evacuato i pazienti, come nel caso dell’ospedale dell’East Nile. Le Rsf hanno affermato di aver abbattuto un caccia Mig, ma mancano conferme. Un portavoce dell’esercito ha invece dichiarato che in 15 giorni di scontro la forza dei miliziani di Hemeti sia stata ridotta della metà, ma anche qui manca un reale riscontro.

Lo stesso comunicato spiega che le Rsf, prima dello scontro, hanno mobilitato 27mila combattenti, quasi 40mila reclute e un centinaio di mezzi corazzati. L’inerzia della battaglia nella capitale sembra propendere a favore dell’esercito che ha visto anche il supporto delle forze speciali di polizia, Central Reserve Forces, che hanno preso il controllo di alcuni quartieri della zona nord.

Un reparto accusato di violazione dei diritti umani: gli Stati uniti lo hanno sanzionato per il ruolo giocato nel reprimere le manifestazioni dell’autunno scorso. Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti, ha rilasciato un’intervista alla tv saudita Asharq TV dove dice che alcuni ufficiali dell’esercito, in forza alle sue truppe, sono tornati con i governativi portandosi dietro anche i propri reparti combattenti. Un altro segno di sfaldamento delle Rsf che all’inizio dello scontro sembravano in vantaggio.

La guerra civile infuria in ben 12 regioni su 18 nel martoriato Sudan. Insieme alla capitale la zona più colpita è il Darfur. L’ospedale di El Geneina, capoluogo del Darfur occidentale, è stato attaccato e saccheggiato così come le case, il mercato e ogni luogo dove si radunino le persone che cercano una via di fuga.

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Human Right Watch ha denunciato scontri etnici e tribali in Darfur fra i Massalit e le tribù arabe della zona, che affiancano le Rsf. Il conflitto etnico in Darfur non è una novità, ma ora si inserisce in un quadro più ampio di guerra civile che a El Geneina ha già provocato un centinaio di vittime anche per il proliferare di armi in tutto il paese.

NONOSTANTE GLI SCONTRI, le trattative diplomatiche vanno avanti. Arabia saudita e Stati uniti sono i due attori principali in questa fase: sia l’esercito che i paramilitari hanno accettato di inviare proprio a Riyadh degli emissari per intavolare una trattativa e un vero cessate il fuoco. Anche l’Egitto fa la sua parte e ha indetto una nuova riunione straordinaria della Lega araba per mantenere alta l’attenzione sul Sudan.

Il World Food Programme, dopo la sospensione delle attività per l’omicidio di tre operatori, è tornato sul campo per supportare una popolazione allo stremo. L’Onu ha dichiarato che, dall’inizio del conflitto, circa 100mila persone hanno abbandonato il Sudan e oltre 300mila sono sfollate in altre zone del paese. A Port Sudan è arrivato il primo carico di aiuti, ma il trasporto nella capitale resta complicato anche per i continui saccheggi.