La crociata di Renzi contro il reddito di cittadinanza
Diritti Renzi: «il reddito di cittadinanza è un messaggio devastante». Meglio infatti licenziare, demansionare e controllare a distanza i lavoratori con il Jobs act - una riforma attenta ai diritti, com'è noto. Contraddizioni devastanti del lavorismo 2.0
Diritti Renzi: «il reddito di cittadinanza è un messaggio devastante». Meglio infatti licenziare, demansionare e controllare a distanza i lavoratori con il Jobs act - una riforma attenta ai diritti, com'è noto. Contraddizioni devastanti del lavorismo 2.0
Alla direzione Pd Renzi ieri ha ribadito che «il reddito di cittadinanza è un messaggio devastante». Perché infatti i voucher, il controllo a distanza dei lavoratori, il demansionamento, il licenziamento senza giusta causa – il Jobs Act – oggi sono una speranza per chi non ha un lavoro, è in cassa integrazione, è costretto a cedere al ricatto di un salario da schiavo pur di lavorare.
Il costo di questo reddito per la tutela sociale della persona potrebbe essere inferiore agli sgravi contributivi alle imprese erogati in maniera «acondizionale», non legati alla produzione di nuovi posti di lavoro(11,8 miliardi). Sommati al costo del bonus Irpef degli 80 euro (6,1 miliardi di euro a 11,3 milioni di dipendenti), il loro totale potrebbe coprire i 14- 21 miliardi annui necessari per un vero «reddito minimo» in Italia. La stima è dell’Istat sulla base delle proposte di legge del Movimento Cinque Stelle e di Sel (Sinistra Italiana). Non avere pensato a tale possibilità, questo è «devastante».
«Il problema non è dare una mano a chi non ce la fa – ha detto Renzi – perché tutti i comuni e lo stato centrale cercano di farlo. È il principio che non funziona: non posso avere diritto a uno stipendio solo perché sono cittadino. Invece ho diritto a che ci si prenda cura di me, ad avere delle opportunità».
Non è la prima volta che Renzi espone questo mix di lavorismo e paternalismo neoliberale. Il 14 marzo 2014 sostenne che il «reddito di cittadinanza» è contrario all’articolo 1 della Costituzione. In realtà è un’erogazione monetaria cumulabile con altri redditi, indipendente dall’attività lavorativa (alla precarietà, alla disoccupazione) e rivolta ai cittadini e ai residenti da almeno un anno per garantirgli una vita dignitosa. Il «reddito di base universale» è diverso dal «reddito minimo»: garantirebbe una vita dignitosa contro il lavoro povero, favorirerebbe l’autodeterminazione, la solidarietà, il diritto all’esistenza. Tutti valori costituzionali, come sostiene Stefano Rodotà. Prospettiva, in effetti, «devastante» per chi sostiene il Jobs Act.
Il chiodo fisso del premier sono i Cinque Stelle che, erroneamente, definiscono la loro proposta un «reddito di cittadinanza», mentre è un «reddito minimo» condizionato all’accettazione di una proposta di lavoro per evitare penalità. Una confusione usata da Renzi per dimostrare l’irrealtà della loro proposta e per evidenziare come il «Sostegno inclusivo attivo» (Sia), previsto nella legge delega contro la povertà, sia un reddito minimo. Questa misura divide gli esclusi e non affronta le radici della crisi. In questo caos normativo e linguistico la Sicilia di Crocetta ieri ha annunciato il «reddito di cittadinanza». Dopo la Puglia di Emiliano, un’altra iniziativa incongrua e frammentaria contro la povertà.
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