La Puglia avrà il suo «reddito di dignità». La misura richiama l’omonima campagna di Libera, dello European Antipoverty Network (Eapn) e del Basic Income Network-Italia (Bin) ma non è un reddito minimo. È un sostegno di inclusione attiva al reddito delle famiglie in povertà assoluta. La regione guidata da Michele Emiliano (Pd) la considera «universalistica»: in una prima fase sarà assegnato alle famiglie fino a 5 componenti e con un reddito e patrimonio (Isee) inferiori ai 3 mila euro. Successivamente si pensa di allargarlo a giovani, coppie con figli minori, disoccupati.

Il costo: 60 milioni di euro per una platea di 60 mila persone, una parte dei 320 mila individui in povertà assoluta (l’8% della popolazione). L’importo mensile del sussidio sarà di 600 euro per una famiglia fino a cinque componenti e varierà in base alla composizione familiare e in base alla scala di equivalenza dell’Isee. La durata massima è di un anno ed è contemplata la possibilità di riprendere il programma di assistenza successivamente. I sessanta milioni arriveranno dal fondo sociale europeo compreso nel Por 2014-2020 e dal fondo da 1 miliardo che il governo Renzi intende far approvare nella legge di stabilità 2016. Da parte sua la Puglia intende stanziare 5 milioni di euro (il 10%) del costo totale previsto per la prima annualità. La copertura sarà ricavata da un aumento della tassa regionale automobilistica, il bollo.

Il testo precisa che la misura per il contrasto alla povertà assoluta – e non del precariato lavorativo o delle povertà al lavoro (cioè le forme prevalenti in cui si dà oggi il lavoro) – è una sollecitazione «affinché il governo regionale realizzi una complessiva riforma delle politiche del lavoro», e in particolare della rete dei centri per l’impiego e quella dei servizi per il lavoro accreditati in Puglia. Il beneficiario del «reddito di dignità» dovrà accettare di partecipare a tirocini e sarà seguito da un’«equipe multiprofessionale» composta da personale dei comuni e dei centri per l’impiego.

Per il governatore Emiliano «il governo non ha questo progetto – ha detto – ma una delle cose che faremo una volta approvato in giunta e trasmesso al Consiglio regionale, sarà prendere in contatto con l’Inps e Boeri, perché sarei curioso di conoscere quale era il progetto dell’Inps in questa materia». Al momento, e in attesa degli sviluppi annunciati, la misura pugliese sembra essere più vicina al «Sostegno all’inclusione attiva» (Sia) creato dal governo Letta e implementato da quello di Renzi, che al «reddito di dignità» di cui parla Libera. L’esecutivo non sembra volere contemplare misure universalistiche per l’inclusione attiva di tutti i lavoratori attivi, come il reddito minimo.

In ogni caso, per Emiliano questo oggi è «un modo di essere di sinistra in modo moderno»: avviare «le famiglie in difficoltà» al lavoro attraverso la formazione. «Se necessario anche andando a pulire giardini, i banani di una scuola, o a gestire lavori umili – ha aggiunto – In cambio della solidarietà da parte della comunità che gli darà una mano». Accenti simili, ispirati a una visione lavorista e coattiva del reddito, sono stati ascoltati nei mesi scorsi dal ministro del lavoro Poletti secondo il quale bisogna mettere la gente al lavoro anche nel volontariato, o nei lavori socialmente utili, in cambio di un sussidio di povertà. Poletti le ha chiamate «attività a beneficio delle comunità locali».

In questa cornice si inserisce anche il «baratto amministrativo», una norma generica stabilita dall’articolo 24 del decreto «Sblocca Italia» usata da numerose amministrazione comunali per recuperare l’importo di tasse come la Tasi o gli affitti comunali altrimenti inesigibili da parte di cittadini poveri o disoccupati. Chi accetta, anche per evitare pignoramenti e sequestri, può essere messo al lavoro nella pulizia, manutenzione o «abbellimento di aree verdi e piazze». In questa torsione autoritaria della cittadinanza ai poverissimi viene concesso un sussidio in cambio di lavori socialmente utili oppure la corvée per pagare i debiti.

La misura pugliese sembra collocarsi a metà strada. Il richiamo alle raccomandazioni della Commissione Ue, presente nel disegno di legge, è parziale: in questi pronunciamenti sul «reddito minimo» si parla di «congruità dell’offerta di lavoro» e di dignità della persona. Due obiettivi che possono anche essere smarriti in questo momento.

 

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