Raccontare, ma anche farsi raccontare, alla ricerca di idee da mettere in comune. La delegazione di militanti dell’Ezln arrivata in Europa a settembre è passata per il cratere terremotato dell’Italia centrale per due giorni di incontri che hanno visto coinvolti cittadini, attivisti e anche amministratori del territorio.

IL PROTOCOLLO per partecipare agli incontri con la «estemporanea» era rigidissimo: appuntamenti aperti ma non pubblici, niente fotografie né video sui social, divieto di riportare fuori dalle assemblee le parole esatte del discorso (lungo diverse ore) che gli zapatisti hanno preparato per raccontare la loro storia e le loro pratiche agli europei. Sono le regole della «Gira por la vida», giunta in Europa poco dopo che il fu Subcomandante Marcos (ora noto come Galeano) ha messo la firma su un comunicato in cui parlava di «Chiapas sull’orlo della guerra civile».

A ROCCAFLUVIONE, paese che si trova praticamente a metà tra Ascoli Piceno e Arquata del Tronto, all’incontro partecipa anche il vicesindaco Guido Ianni. Ed è lui che, a un certo punto, prova a ragionare su come importare in Italia, almeno in parte, le pratiche autogestionarie dei municipi del Chiapas.
Una questione non semplice da risolvere, perché se è vero che, per gli zapatisti, in Messico non possono esistere governi amici, per un amministratore italiano i rapporti istituzionali possono essere tesi e difficili, ma mai apertamente conflittuali. Ed è così che, nel mezzo di un’assemblea discretamente partecipata, riemerge il vecchio tema dell’arma della critica e della critica delle armi. «In verità in Italia si è provato a costruire esperienze di movimento all’interno delle istituzioni», chiosa Massimo Rossi, l’ex presidente rifondarolo della Provincia di Ascoli che, quando era sindaco di Grottammare, arrivò a far gemellare il suo comune con il municipio zapatista intitolato a Che Guevara in Chiapas, reperendo risorse anche per finanziare la costruzione di un magazzino.
L’esempio che cita Rossi sull’apporto dei movimenti all’interno delle istituzioni comunali è quello del cosiddetto «bilancio partecipato», con i cittadini che possono partecipare in maniera diretta alle decisioni dell’amministrazione in materia di contabilità.

VA DETTO, comunque, che l’esperimento italiano basato sulla pratica nata a Porto Alegre alla fine degli anni ’80, è sempre stata fortemente osteggiata dalle forze politiche tradizionali e ormai è ridotta ad essere un vezzo per le amministrazioni più progressiste. La domanda sul come importare qualche principio di auto-organizzazione nel paludato universo amministrativo italiano resta dunque aperta.
Ad ascoltare attentamente il dibattito ci sono quelli delle Brigate di Solidarietà Attiva, il pugno di militanti che, ormai sostanzialmente da soli, a cinque anni dal sisma continua a presidiare il territorio, organizzare e cercare di dare prospettive sociali ai terremotati. La ricostruzione, infatti, non è solo una questione di palazzi da rimettere in piedi, ma riguarda soprattutto una comunità che stenta a immaginare il proprio futuro. Almeno chi è rimasto, perché moltissimi negli anni hanno già scelto di andare via.

A PRETARE, frazione completamente demolita di Arquata del Tronto, ultimo paese prima del monte Vettore, la delegazione zapatista resta interdetta davanti alla distruzione. Le macerie non sono più in mezzo alla strada come fino a pochi mesi fa, ma di edifici in piedi non ce ne sono quasi più. Da qui lo stupore per il numero di scosse (un’infinità, di cui quattro grosse tra il settembre del 2016 e il gennaio del 2017) e di vittime (trecento): come una battaglia. Con il gruppo c’è anche il nuovo sindaco Michele Franchi, eletto appena tre settimane fa. Racconta la storia del paese negli ultimi anni e spiega bene come «per tenere unita la comunità sono stati fondamentali i comitati di cittadini che sono nati spontaneamente». Gli zapatisti ascoltano.

A SORPRESA DOMANDANO: «E il governo?». La risposta rimane appesa. In realtà è un’altra domanda: quale governo? Ne sono passati cinque dalla notte in cui tutto è crollato, ciascuno con un’idea diversa sul da farsi. Anche se di fatti alla fine se ne sono visti pochi. La seconda giornata della delegazione nel cratere va in scena a Montegallo, e qui tra un giro per il bosco, la raccolta delle castagne e un incontro con alcuni produttori locali, gli abitanti del cratere hanno scoperto, non senza sorpresa, di condividere qualcosa con i militanti dell’Ezln.
Almeno sulla carta, in entrambi i casi il governo viene visto come un’autorità distante quando non apertamente ostile. Ma se in Messico la rivolta va avanti dalla metà degli anni ’90, sull’Appennino a segnare il passo è la sfiducia. È il risvolto più duro della storia infinita del dopo sisma: la resistenza è un fatto personale, che un altro mondo sia davvero possibile non lo crede ormai nessuno.