“Lo studio è anche una testa espansa, una camera di pensieri e riflessioni dove tutti i disegni, le foto e i residui sulle pareti diventano questi stessi pensieri”. William Kentridge, durante il Covid e dopo, chiuso nel suo atelier (e poi libero) ha prodotto una serie di autoritratti dinamici, mescolando le sue consuete tecniche e i suoi temi di riflessione – dalla metamorfosi all’apartheid fino alla tensione verso un altro mondo possibile. Self portrait as a coffee-pot,  la mostra a cura di Carolyn Christov-Bakargiev, è un cabinet filosofico ad episodi – che vedremo presto su Mubi, in streaming. Una fucina...