I ventilatori appesi alle pareti fanno un gran rumore e spostano un’aria umida, frammista al sudore e all’odore dei pugili che si alternano sul ring, una luce bianca disegna il quadrato, tutt’intorno altri pugili si allenano. Waseem è velocissimo, si muove con eleganza, leggero, colpisce e schiva. Ma appare svogliato. Nader, occhi verdi, con un grande ritratto di Arafat tatuato sul braccio destro che appoggia alle corde, dall’angolo lo richiama ma il giovane pugile sembra non ascoltare i consigli del suo allenatore, che comincia ad incalzarlo. I toni si alzano, Nader ferma l’allenamento, è una furia, tutti gli atleti all’interno della palestra volgono simultaneamente lo sguardo altrove. Waseem prima risponde alle critiche del suo allenatore, poi scoppia a piangere, scende dal ring e va via.

Nella sua casa nella periferia di Ramallah dove vive con la nonna che lo ha cresciuto e gli zii, Waseem è disteso sul suo letto con alle spalle una parete dipinta malamente di blu, illuminata da piccoli led disposti verticalmente e contornata di fotografie che lo ritraggono quasi sempre con i guantoni da boxe. Una miriade di medaglie pendono da una parete sopra l’armadio, l’unica foto incorniciata lo ritrae a 13 anni abbracciato ad altri pugili e a Nader Jayousi, il suo allenatore da quando aveva 11 anni, che Waseem definisce come «suo padre, sua madre, la sua famiglia, ogni cosa».

Sono passati sei mesi da quella discussione con il suo mentore, da allora tante altre ce ne sono state e altre ancora ce ne saranno, racconta. Nulla è cambiato però tra loro, anche se ora Waseem Abu Sal, 20 anni, è diventato il primo pugile nella storia della Palestina a qualificarsi ad una Olimpiade, ottenendo una wild card per Parigi su invito del Comitato Olimpico Internazionale.

Il 7 ottobre 2023, il mondo ha assistito a un cambiamento radicale nel conflitto israelo-palestinese, dopo che Hamas ha lanciato un attacco devastante contro il sud di Israele, causando la perdita di oltre 1.200 vite. Nel caos che ne è seguito, lo Stato ebraico ha risposto con una guerra feroce e brutale contro Gaza, facendo sì che il bilancio delle vittime tra i palestinesi superasse i 37.000 morti, numeri che quotidianamente aumentano senza sosta. All’indomani del conflitto di Gaza, Israele ha intensificato la sua presenza in Cisgiordania, aggravando la situazione della popolazione palestinese che vive sotto occupazione. La guerra in corso ha incoraggiato e intensificato l’escalation del movimento dei coloni, esacerbando una situazione già incandescente. I soldati e i coloni israeliani hanno ucciso più di 500 palestinesi nel 2023 in Cisgiordania. Le vittime nel 2024 sono già 200, mentre 9450 sono i civili arrestati dall’esercito israeliano dal 7 ottobre 2023 ad oggi.

Waseem ha vestito i guantoni per la prima volta a 11 anni costretto dal padre che l’aveva affidato a coach Nader. Questi all’inizio non era molto entusiasta, preferiva andare a cavallo tutto il tempo e giocare a calcio in strada con gli amici del quartiere. A 13 anni ha cominciato a combattere e vincere, a 14 anni in Portogallo nel suo primo torneo internazionale Waseem non arrivava al peso minimo per gareggiare nella sua categoria, pesava solo 31 kg. Subito prima della prova del peso gli dovettero far bere un litro di acqua per raggiungere 32kg necessari per essere ammesso alla competizione. In quel torneo vinse la medaglia d’oro. Un altro trofeo da portare a casa della nonna Soraya. L’infanzia di Waseem non è stata facile ma non gli è mai mancato nulla, ripete più volte che avrebbe voluto crescere in un campo profughi per combattere e morire per la Palestina, pensiero che condivide con il suo allenatore Nader – il padre ha combattuto dal 1978 al 1982 in Libano come comandante di una brigata dell’OLP – che ha molti amici e atleti che vivono a Gaza.

Tra i paesi delle Nazioni Unite, solo 146 dei 193 stati membri al momento riconoscono lo Stato di Palestina. L’elenco comprende molti Paesi mediorientali, africani e asiatici, ma non gli Stati Uniti, il Canada, la maggior parte dell’Europa occidentale (inclusa l’Italia), l’Australia, il Giappone e la Corea del Sud. Ad aprile scorso, gli Stati Uniti hanno posto il loro veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu alla richiesta palestinese di diventare uno Stato membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. Nonostante la Palestina non abbia mai avuto un riconoscimento universale come Stato gli atleti palestinesi hanno preso parte a tutte le Olimpiadi estive da quando sono stati ammessi per la prima volta ai Giochi di Atlanta nel 1996. Ogni partecipazione ha avuto un significato speciale, per i residenti dei territori palestinesi e per quelli della diaspora palestinese, dando ad un popolo senza Stato una sede in cui competere con il resto del mondo.
La realtà politica in Cisgiordania – costellata di posti di blocco dell’esercito israeliano che limitano gli spostamenti – fa sì che gli atleti palestinesi si trovino ad affrontare molti ostacoli nella loro quotidianità. Per molti di loro è difficile allenarsi regolarmente con compagni che praticano la stessa disciplina, poiché molti vivono dall’altra parte della barriera di sicurezza israeliana o in altre città della Cisgiordania difficili da raggiungere. Anche viaggiare all’estero per allenarsi o gareggiare comporta difficoltà poiché per molti non è facile ottenere un visto.

Cappellino in testa, capelli appena rasati la notte prima all’una, Waseem alle undici dopo l’ultimo allenamento del mattino, si avvia, con due valigie tra le mani, verso l’esterno della palestra El Barrio di Ramallah. Un taxi giallo lo attende in strada per portarlo in Giordania, per poi partire il giorno dopo per Nancy dove incontrerà il maestro Ahmad Harara, ex pugile originario di Gaza trasferitosi al Cairo, che in tutto questo tempo lo ha allenato attraverso videochiamate perchè impossibilitato a raggiungerlo a Ramallah. In seguito, raggiungerà Parigi dove incontrerà il maestro Nader e gli altri atleti della squadra olimpica per partecipare così alla sua prima Olimpiade, il suo sogno sin da bambino. Ad attenderlo all’esterno dell’edificio ci sono i pugili con cui è cresciuto che lo abbracciano forte. C’è il sole e fa caldo a Ramallah, il taxi in attesa suona il clacson più volte sancendo la fine dei saluti, Waseem entra in auto asciugandosi le lacrime con una mano, saluta mentre lentamente si allontana nel traffico della città.