Premessa: sembrava che il settore dell’auto stesse digerendo con una certa aisance lo scandalo recente della Volkswagen. I dati che si andavano accumulando in queste settimane mostravano un andamento del mercato molto positivo per il settore. In Cina, il principale mercato mondiale, l’anno si chiudeva con vendite superiori del 7,3% a quelle dell’anno precedente, negli Usa si era avuto un anno record ed anche in Europa le cose andavano molto meglio. Marchionne annunciava con la solita aria trionfalistica che il 2015 era stato per il gruppo Fca un anno da ricordare.

Persino la Volkswagen aveva registrato una riduzione solo molto modesta del suo fatturato.

Sembrava comunque molto bizzarro che i trucchi li facesse soltanto la Volkswagen, tanto più che era noto da tempo che, almeno in Europa, i test relativi alle emissioni inquinanti delle varie case erano quasi tutti truccati, sotto lo sguardo molto distratto di Bruxelles.

I nuovi fatti: dalla Renault alla Fca

Ecco che, dopo che qualche giorno fa erano emerse negli Stati Uniti nuove informazioni negative sul gruppo, sembra ora arrivare una qualche conferma del fatto che lo scandalo non toccava solo la casa tedesca, con le nuove vicende della Renault e in qualche modo anche della Psa. Peraltro la prima casa ha comunicato che le perquisizioni ordinate dalla magistratura su possibili apparecchiature truccate presenti nelle sue vetture non avevano rilevato nulla di irregolare, mentre la seconda smentiva che ci fosse stato qualsiasi atto giudiziario nei suoi confronti.

Intanto, mentre si diffondeva la notizia che in Russia nel 2015 le vendite della Fca erano diminuite del 36%, essa veniva accusata negli Stati Uniti, da un gruppo che controlla nel paese diversi concessionari, di essere stato spinto, anche mediante elargizione di denaro, a denunciare dei dati di vendite gonfiati. Anche in questo caso l’azienda respinge però vigorosamente le accuse.

Se la cosa andasse avanti essa potrebbe colpire duramente la società italo-americana. In effetti quello statunitense è di gran lunga il mercato più importante per il gruppo; dalle vendite nel paese vengono, come ci informa il Financial Times, circa l’85% dei suoi utili operativi. Non è peraltro la prima volta che la Fca viene toccata da problemi negli Usa: nel luglio del 2015, infatti, essa era stata multata per le negligenze nel richiamare e riparare i veicoli difettosi.

E pensare che proprio nei giorni scorsi il nostro presidente del consiglio consigliava caldamente agli investitori di acquistare azioni del gruppo, perché sarebbe stato un grande affare. Ma sia il titolo Fca che quello Ferrari non si stanno comportando molto bene. Il primo ha perso il 18% del valore dopo lo scorporo della Ferrari, mentre anche le azioni di quest’ultima sono oggi ben al di sotto dei valori di emissione di una decina di giorni fa.

I problemi di lungo termine

Gli scandali in atto non sono il solo pericolo che minaccia il settore dell’auto, perché intanto si sta preparando una grande battaglia per il dominio del settore tra le vecchie case dell’auto e i grandi gruppi internet, da Google ad Alibaba. Stanno andando avanti grandi novità tecnologiche. In particolare l’innovazione digitale in atto ha creato negli anni recenti quella che è ormai noto come l’internet delle cose.

L’auto in se sarà sempre di più soltanto un ammasso di ferraglia; quello che conterà sarà la piattaforma elettronica cui le vetture saranno collegate e che trasformerà il veicolo da una parte in una specie di grande smartphone, cioè una centrale di informazioni in entrata e in uscita per l’utente, dall’altra in un terminale in grado di dire se un pezzo è vicino alla rottura, di fare delle riparazioni automaticamente, di individuare le preferenze e le modalità d’uso dei clienti e così via.

Sul tema si stanno scontrando capitali e competenze cinesi, statunitensi, tedeschi. I primi due con le conoscenze digitali, il terzo attore con quelle della ferraglia, anche se non solo.

Il problema per la Fca è che essa è la casa, oltre che con il maggiore indebitamento del settore, anche quella con i minori investimenti in questo campo e, più in generale, nella ricerca.

Non a caso Marchionne sembra voglia cedere a qualcuno il suo gioiello. Ma non sembrano affacciarsi acquirenti entusiasti.

Il settore dell’auto non è peraltro il solo su cui pende la minaccia dell’ingresso in forze delle imprese internet. Un fenomeno simile si va verificando nel settore bancario. Anche in questo caso sono implicati gruppi cinesi e statunitensi che, forti del loro know-how digitale e della loro potenza finanziaria, minacciano, anzi ormai quasi terrorizzano, le banche tradizionali.

Nessuno peraltro verserà una sola lacrima se queste ultime soccomberanno agli inesorabili assalti delle fresche truppe mercenarie.

Conclusioni

I fatti di ieri si aggiungono ad una serie di altri avvenimenti che stanno arrivando da qualche tempo e che, tutti insieme, creano un’atmosfera di grande nervosismo sulle vicende economiche del mondo. Tanto è anche bastato perché gli economisti della Royal Bank of Scotland, come ricorda il Guardian, hanno avanzato l’ipotesi dello scoppio nel 2016 di una crisi economica simile a quella del 2008, che peraltro, almeno da noi, era ancora lontana dall’essere passata. Speriamo che si tratti, per dirla alla Renzi, soltanto di voci al vento di gufi malevoli.