Manca poco al 25 settembre, giorno in cui si svolgeranno elezioni politiche tra le più importanti della storia repubblicana. Eppure, nonostante il rilevante significato di questo appuntamento, il partito dell’astensione sembra quello davvero vincente, capace di raccogliere molti sostenitori nell’area democratica e di sinistra.

Questa sensazione di profonda depressione verso l’esercizio del voto sta producendo una serie di appelli nel tentativo di contrastarla. Il segretario della Cgil Landini lo ha fatto parlando ai 5000 delegati riuniti a Bologna: «L’unico appello elettorale che mi sento di fare da questo palco è quello di andare a votare». Ricordando che non solo senza votanti la democrazia entra in crisi, ma soprattutto che, in ogni caso, «decidono quelli che votano». Lo ha fatto l’Anpi, in nome della difesa della Costituzione, cercando di arginare la vulgata del «sono tutti uguali perché anche Renzi ha cercato di stravolgerla».

Figuriamoci se non ci sono motivi ragionevoli per non sentirsi rappresentati da questo o quel partito, motivi alimentati da una grande confusione sotto il cielo della politica italiana, in una situazione purtroppo tutt’altro che eccellente. Oltretutto, come è accaduto alle ultime elezioni comunali, quando oltre la metà degli aventi diritto ha disertato le urne, c’è un rapporto stretto e diretto tra astensionismo e diseguaglianze.

Solo il 28 per cento degli elettori a basso reddito si è recato alle urne per eleggere il proprio sindaco, mentre laddove diventa medio si sale al 63, fino al 79 per cento per i redditi alti. L’aumento della miseria, raddoppiata in pochi anni, certamente la vedremo agire nelle percentuali dell’astensionismo.

L’articolo 48 della Costituzione ci dice che il voto è un diritto e un «dovere civico», anche se non è obbligatorio. Riconoscendo implicitamente che l’astensionismo ha pari dignità con il voto. Secondo tutti i sondaggi, il 26 settembre è assai probabile che la grande fuga raggiunga livelli record se è vero che oltre il 40 per cento degli italiani sarebbe determinato a voltare le spalle al seggio. Le motivazioni sono le più diverse, tutte legittime, comprese quelle estreme di chi non riconosce un ruolo alle istituzioni democratiche, e quindi le ignora non votando. Altri invece scelgono una strada più consapevole, più ragionata, più critica.

Con la caduta verticale della partecipazione civica dei cittadini, non c’è dubbio che oggi, soprattutto nell’area di sinistra, in tanti ritengono le elezioni soltanto un rituale per tenere vivo e vegeto il sistema di potere dei partiti. Hanno ragione, in linea di massima, perché la spinta propulsiva per rendere protagonisti i cittadini si è fortemente indebolita nel corso del tempo (governi tecnici e governi di unità nazionale hanno alimentato la crisi), e ha bisogno di nuova linfa. Non a caso Norberto Bobbio, difficilmente annoverabile tra gli astensionisti, in un preveggente saggio del 1984, intitolato Il futuro della democrazia, osservava come nella società di massa «il voto di opinione sta diventando sempre più raro: oserei dire che l’unica opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza grave danno».

Di fronte ad un rifiuto così radicale e motivato, diventa alquanto complicato cercare di convincere compagne, compagni, amiche e amici di sinistra, a votare. E capisco che chi ha qualche anno in più, sia scettico, amareggiato, disilluso. E stanco, perché nonostante le tante battaglie di progresso sociale e civile, alcune vinte, altre perse, oggi il mondo democratico si trova in presenza di una quasi certa vittoria delle forze più retrive, illiberali, reazionarie dell’Italia Repubblicana. Ma è proprio qui l’unico vero, grande motivo per recarsi alle urne.

Se è vero, come continuano a rilevare gli istituti demoscopici, che la coalizione di destra-centro ha la vittoria in tasca, ogni cittadino democratico, di sinistra deve rendergli la vita difficile. E il primo passo è questo: domenica prossima andiamo a votare. Naturalmente per chi si oppone radicalmente al trio Meloni-Salvini-Berlusconi. Qualcuno ha detto che c’è un’azione peggiore di quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare.