Con effetto domino, le proteste iraniane coinvolgono diverse città del pianeta, da Ginevra a Melbourne. Mentre Berlino propone all’Unione europea la possibilità di sanzioni contro Teheran, a Oslo le dimostrazioni di fronte alla sede diplomatica della Repubblica islamica hanno causato il ferimento di due persone e l’arresto di 90.

A esprimere solidarietà agli iraniani sono state, ieri mattina, 25 afghane che a Kabul si sono ritrovate davanti all’ambasciata iraniana, suscitando l’ira dei Talebani. In risposta i pasdaran prendono di mira celebrità e giornalisti nel paese.

SEMPRE PIÙ CONVINTI che le proteste siano fomentane dall’estero, i vertici di Teheran hanno convocato Florent Aydalot, incaricato d’affari di Francia, per «denunciare l’ingerenza dell’Eliseo nelle questioni interne all’Iran.

«A Teheran è sempre più difficile manifestare. Nelle strade ci sono le forze dell’ordine, ovunque. Le caserme sono distribuite in modo capillare sul territorio e i militari arrivano in un attimo nei viali del centro, usando le corsie dedicate ai mezzi pubblici. Coloro che osano manifestare nel nord della capitale rischiano di ritrovarsi bloccati tra i pasdaran e le montagne».

Queste frasi sono scritte da un 35enne che vive e lavora nella capitale iraniana e mandate usando una rete vpn che dovrebbe assicurare privacy e sicurezza Ma anche queste reti non sono più una garanzia. Internet funziona a singhiozzo. Non è facile trovare persone disposte a parlare, l’anonimato è indispensabile: «Mandare messaggi e raccontare che cosa succede può mettere in pericolo», aggiunge.

«ADESSO LA SITUAZIONE è davvero tesa. Il governatore di Teheran ha detto che nella capitale le manifestazioni sono completamente finite, ma non è vero: l’altra sera nel mio quartiere, in centro, eravamo tutti sul tetto a urlare. La speranza è che si continui, ormai è dai tempi della rivoluzione che non si manifestava così, senza interruzioni. C’è paura a scendere per strada, non tutti sono convinti. Ma siamo a un punto di non ritorno. Le proteste non hanno una guida, un capo. E non c’è nemmeno un’opposizione interna, o all’estero, che sia organizzata e che possa rappresentare una vera alternativa alla Repubblica islamica. Se ore le proteste dovessero fermarsi, le autorità diventerebbero sempre più forti e repressive. Non posso raccontarle molto di più. Spero possa capire», conclude il giovane.

OLTRE A SCENDERE in strada, gli iraniani convogliano la loro protesta attraverso lo sciopero. Dalla città di Kerman, una ragazza di 28 anni racconta: «Sono una giovane donna che vive in una società ingiusta. Mi sveglio ogni mattina, e spesso la notte, in ansia e spaventata. Non ho paura di morire, non ho paura di perdere i miei cari ma di perdere questa battaglia e dimenticare perché abbiamo iniziato la protesta. Ogni sera, quando internet rallenta e poco alla volta smette di funzionare, preghiamo e cerchiamo di comprendere la situazione. Se inizialmente il nostro slogan era zan, zendeghi, libertà (donna, vita, libertà), oggi lo sciopero è diventato il modo di protestare per operai, impiegati, professori, autisti, negozianti. Usiamo la nostra creatività: i cantanti cantano, i blogger creano consapevolezza, gli atleti dicono la loro, i disegnatori disegnano, i giornalisti scrivono con onestà, i fotografi catturano momenti, i romanzieri scrivono per essere letti».

«Sappiamo che se adesso rinunciamo, saremo sconfitti. Vorrebbe dire maggiore oppressione, e quindi maggiore sofferenza, più morte, più bugie».