Nel primo anno di guerra artiste, artisti, registe, registi ucraine e ucraini si sono imposti all’attenzione internazionale con opere che al di là del conflitto in sé, quei lavori cioè più strettamente legati all’attualità, propongono narrazioni che ne illuminano in una «distanza» le ragioni, storiche e politiche, e al tempo stesso il quotidiano oltre le immagini dell’informazione.
Non solo Sergei Loznitsa, il regista ucraino che del suo Paese ha saputo raccontare passato e presente – mai del tutto scissi – con estrema precisione. Da Donbass (2018) dove il conflitto silente, e feroce, nella regione prendeva forma in un paradosso di violenza quotidiana, a Maidan (2014) sulla rivolta contro il controllo russo, fino a The Kiev’s Trial, presentato alla scorsa Mostra di Venezia. Passando per The Natural History of Destruction (2022) che seppur riferendosi alla Seconda guerra mondiale con l’utilizzo di materiali d’archivio, restituisce l’angoscia e le conseguenze delle bombe e della distruzione – a cui assistiamo nelle città ucraine ogni giorno. Loznitsa, che vive in Germania, per le sue posizioni contro il boicottaggio degli artisti russi, specie coloro che già sono isolati per ragioni politiche,è stato radiato dal’Associazione dei registi ucraini.

Alisa Kovalenko in We Will Not Fade Away costruisce un romanzo di formazione con alcuni ragazzi che vivono nella parte del Lugansk sotto il controllo ucraino. Vanno in discoteca, fumano, si baciano, recitano delle poesie. Per loro la vita sulla linea del fronte è iniziata nel 2014, «ricorderò quell’anno come nessun altro» dice una ragazza parlando con l’amica.
Alisa Kovalenko – il cui film si è visto alla Berlinale nell’ambito di uno speciale omaggio al cinema ucraino – è nata nel Donbass, a Zaporizhia, catturata dai separatisti filo-russi, dopo l’invasione dello scorso febbraio, ha scelto di andare a combattere. Il film è stato girato tra il 2019 e il 2022.
Mariupolis 2 di Mantas Kvedaravicius è stato invece girato nella città assediata prima che cadesse in mano ai russi. Il regista, lituano, aveva già realizzato un ritratto della città, che come questo ne portava il titolo nel nome: lì, in quella città che viveva sotto una costante minaccia di guerra provava a coglierne una poesia nel quotidiano attraverso alcuni personaggi che con le loro vicende davano voce a un sentimento collettivo. Mentre era lì, e cercava di andare via, Kvedaravicius è stato ucciso dai russi, la sua compagna, Hanna Bilobrova, è riuscita a recuperare il girato e a portarlo via, e ha finito il film insieme alla montatrice Dounia Sichov.
Butterfly Vision, opera prima del regista ucraino Maksym Nakonechnyi, torna anch’esso al conflitto nel Donbass col personaggio di una donna, arruolata nelle forze speciali ucraine, che catturata dai russi torna a casa grazie a un scambio di prigionieri, e scopre di essere incinta per le violenze subite dai nemici. La guerra era dunque già lì, nel corpo e nella mente delle persone, presenza reale e quotidiana che ne condiziona le esistenze. La stessa guerra è anche in Bad Roads di Natalya Vorozhbit, in cui si intrecciano diverse storie e personaggi seguendo un conflitto sotto traccia.