Solo i figli e gli amici ricorderanno la faccia di José Gabriel Martinez, 58 anni, uno dei 5.868 casi di Covid-19 registrati in Iowa, morto la settimana scorsa a West Liberty, cittadina poco più grande di Vo’ Euganeo, dove molti abitanti, soprattutto ispanici, lavorano alla Hy-Line, un impianto di produzione di uova poco distante. Un enorme stabilimento dove lavorava la moglie Aurelia, 52 anni, che si era ammalata in marzo. Due giorni dopo il tampone, anche la figlia Evelyn si era ammalata ed era stata trasportata al Mercy Hospital di Iowa City. Aurelia ed Evelyn, alla fine, ce l’hanno fatta, José no. I vicini hanno raccolto 23 mila dollari per aiutare la famiglia a pagare le spese ospedaliere, riferisce il Des Moines Register.

MERCOLEDÌ, DONALD TRUMP ha ordinato agli impianti di trasformazione delle carni di qualsiasi tipo di restare aperti benché siano di gran lunga i luoghi di lavoro più pericolosi. Lo ha fatto invocando una legge di 70 anni fa, varata a suo tempo per garantire la produzione di armi e munizioni durante la guerra di Corea.
In questi stabilimenti gli operai lavorano in piedi, fianco a fianco, sulla linea di produzione, la cui velocità è stata aumentata. Anche la durata dei turni giornalieri è stata allungata e le pause non sono scaglionate, per cui i lavoratori si affollano nella caffetteria senza poter rispettare una distanza minima tra loro.

Martedì erano 4.800 gli operai colpiti dal Coronavirus in 70 stabilimenti in 26 stati americani. Prima dell’editto di Trump, richiesto a gran voce dalla multinazionale Tyson Foods erano una ventina gli impianti chiusi a causa del diffondersi del virus.

Un comunicato dello stabilimento Smithfield di Sioux Falls, in South Dakota, che era stato chiuso dopo aver scoperto che ben 900 lavoratori erano stati contagiati, si limita a spiegare che: «Gli impianti di lavorazione della carni, caratterizzati da una produzione ad alta intensità di manodopera sulle catene di montaggio, non sono progettati per l’allontanamento sociale».

GLI STATI UNITI avevano registrato, a ieri, circa 60 mila morti per il Covid-19: le decisioni di costringere i lavoratori, in particolare le minoranze etniche che fanno i lavori più pericolosi, a tornare negli stabilimenti dividono brutalmente gli americani in due gruppi: quello che ha il potere di controllare la propria esposizione all’epidemia grazie al telelavoro e l’altro, ben più numeroso, deve scegliere tra potenziale malattia e collasso dell’economia familiare. In Iowa, i latinos come Gabriel, Evelyn e Aurelia Martinez rappresentano il 6% della popolazione ma sono circa un quarto dei contagiati.

La recessione colpisce in maniera sproporzionata le minoranze etniche che fanno i lavori a contatto con il pubblico: infermieri, baristi, commessi, postini, parrucchieri. Ci saranno effetti devastanti sul reddito e, secondo l’economista William Darity, della Duke University, «le disuguaglianze non potranno che peggiorare». In particolare, saranno colpiti in tutto il mondo i lavoratori “informali”, i migranti, gli stagionali: quell’enorme fetta dell’economia sommersa che dà da vivere a 1,6 miliardi di persone. Quando noi pensiamo al lavoro nero ci viene in mente l’idraulico che non fa la fattura, o il ristorante che non dà la ricevuta fiscale, ma la realtà è che interi continenti, dall’Africa all’America latina, vivono di quello. Ieri, l’Organizzazione mondiale del Lavoro, un’agenzia dell’Onu, ha diffuso le sue stime: il solo primo mese della pandemia ha ridotto i guadagni dei lavoratori informali di oltre l’80%. Il tasso di povertà relativa aumenterà del 21% nei paesi a reddito medio-alto, il che per gli Stati uniti significherebbe gettare nella miseria il 35% della popolazione.

LE PREVISIONI dell’Organizzazione peggiorano a ogni nuovo bollettino: se il 7 aprile scorso gli economisti di Ginevra avevano previsto un calo delle ore lavorate pari a 195 milioni di lavoratori a tempo pieno nel secondo trimestre di quest’anno, ieri l’agenzia ha portato la sua stima a 305 milioni di posti di lavoro cancellati dal rallentamento delle attività economiche. Nella storia, le crisi producono i loro effetti sull’occupazione lentamente, dopo 12 o 24 mesi. Stavolta, in 7 settimane, la pandemia ha cancellato circa 30 milioni di posti di lavoro nei soli Stati uniti.

Nel mondo nulla sarà più come prima», si dice: una frase che nel giro di due mesi è già diventata stucchevole. Purtroppo è vero: nell’economia è così, anche se non sappiamo quale sarà la situazione fra tre mesi. Però possiamo immaginare che ci sarà un ulteriore rafforzamento dei giganti, a cominciare da Amazon, a danno degli operatori piccoli e medi. Le piattaforme come Zoom e le aziende farmaceutiche in corsa per il vaccino sono triplicate di valore in borsa. Le aziende familiari, in particolare bar e ristoranti, saranno in buona parte spazzate via. Librerie e piccoli negozi anche, a vantaggio di Netflix e del commercio on line, mentre i servizi sociali dovranno fare i conti con bilanci statali e comunali travolti dai debiti. Non solo in Iowa, ma anche a Milano, Torino o Bologna.

UNA FIAMMELLA DI SPERANZA viene da Whole Foods, Amazon e Target, dove oggi dovrebbe esserci un grande sciopero (negli Usa il Primo Maggio non è festa). Gli organizzatori sperano che l’occasione sia di stimolo anche per tutti i lavoratori non sindacalizzati, precari o a tempo parziale che, come abbiamo visto sono i più colpiti dal disastro.