«La violenza sessuale come arma di guerra, incluso lo stupro, è stata una caratteristica distintiva – e spregevole – di questa crisi fin dall’inizio». Lo ha dichiarato a marzo 2024 l’Alto Commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, sottolineando «l’insidioso disprezzo per la vita umana» che caratterizza il conflitto in Sudan.

Il 15 aprile 2023, a Khartoum sono scoppiati violenti combattimenti fra l’esercito del paese, le Forze armate sudanesi (Saf), e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf). La guerra fra le due fazioni, guidate rispettivamente dal generale Abdel Fattah al-Burhan e da Mohamed Hamdan ‘Hemedti’ Dagalo, è concentrata principalmente attorno alla capitale sudanese e alla regione di Darfur, coinvolgendo anche altre città. Dall’inizio delle ostilità, quasi 15.000 persone sono state uccise e più di 8.2 milioni sono state sfollate, riporta l’Onu ad aprile 2024. Si tratta molto probabilmente di un’ampia sottostima della realtà.

Entrambe le fazioni in guerra sono responsabili di diffusi episodi di violenza sessuale. Documentati nel rapporto “Khartoum non è sicura per le donne!” Violenza sessuale contro donne e ragazze nella capitale del Sudan di Human Rights Watch (Hrw), pubblicato alle cinque di mattina di lunedì. Intervistata dal manifesto, Laetitia Bader, direttrice del Corno d’Africa per Human Rights Watch, ci spiega che «Il nostro rapporto rileva una vasta presenza di violenza sessuale a Khartoum e nelle città sorelle di Bahri e Omdurman dall’inizio del conflitto».

«Abbiamo intervistato dottori, psichiatri, paramedici e psicologi: ci hanno raccontato che, fin dai primi giorni, hanno ricevuto segnalazioni di violenza sessuale – prosegue Bader – La maggior parte di questi casi sono stati attribuiti ai membri delle Rsf, che controllano diverse aree residenziali di Khartoum, dove occupano case, aziende e infrastrutture mediche. Là donne e ragazze sono state vittime di stupri e stupri di gruppo, sono state rapite, alcune sono state prigioniere per giorni e altre per settimane. Anche l’esercito sudanese è responsabile di stupri nelle zone da loro controllate, in particolare da quando hanno acquisito il controllo su Omdurman quest’anno. Fra gli intervistati, diversi ci hanno comunicato che i sopravvissuti hanno paura di riportare gli episodi connessi all’esercito, temendo che le autorità allineate con il generale al-Burhan rigettino le loro accuse».

Secondo il rapporto, diciotto degli operatori sanitari intervistati da Hrw hanno fornito assistenza medica, supporto psicosociale e di altro tipo a «un totale di 262 sopravvissuti a violenze sessuali fra aprile 2023 e febbraio 2024». Bader sottolinea però l’importanza di «non dare troppa enfasi ai numeri: per via delle barriere logistiche come le restrizioni alla libertà di movimento imposte dai vari checkpoint nelle zone controllate dalle Rsf, e delle barriere sociali – le donne vittime di violenza di genere vengono a volte allontanate dalla propria famiglia – queste cifre non corrispondono a quelle reali. Inoltre, anche solo un caso di violenza sessuale costituisce di per sé un abuso».

«Anche uomini e ragazzi sono vittime di violenza sessuale – continua – ci sono stati documentati circa dieci casi. Si tratta ancora di più di una sottostima per via dei molteplici strati di stigma attorno alla violenza di genere sulla popolazione maschile». Le conseguenze sulla salute mentale dei sopravvissuti sono devastanti. La direttrice per il corno d’Africa di Hrw riporta che, nei campi degli sfollati interni, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) riferisce di diversi casi di pensieri suicidi e problemi psicologici derivanti dalla violenza sessuale subita.

Nel rapporto figurano varie testimonianze di operatori medici: «Abbiamo assistito una madre e le sue quattro figlie che sono state violentate di fronte al padre e ai fratelli. Non sono state in grado di lasciare la loro casa perché le Rsf le ha poste in una sorta di arresti domiciliari. Queste donne sono state violentate ripetutamente per giorni. Una delle figlie era incinta quando sono riuscite a contattarci». Bader racconta che «spesso le sopravvissute si presentano per ricevere cure solo quando sono incinte. I servizi abortivi sono, però, quasi inesistenti a Khartoum. Le vittime non stanno quindi ricevendo le cure nel periodo critico. Questo succede anche perché, nelle zone controllate dalle Rsf, le forze paramilitari intimidiscono e vessano civili e medici. I dottori sono preoccupati perché i sopravvissuti non hanno accesso alla profilassi per prevenire la diffusione di epatite e altre malattie».

Human Rights Watch sottolinea che entrambe le fazioni prendono deliberatamente di mira le strutture sanitarie, saccheggiandole e distruggendole: la direttrice del Corno d’Africa per Hrw afferma che «già nei primi mesi l’Oms ha dichiarato il 70% delle strutture sanitarie non funzionanti. Medici Senza Frontiere condanna ripetutamente le restrizioni alla circolazione del proprio staff e delle attrezzature mediche».

Bader denuncia il «contesto di impunità che circonda gli abusi commessi dalle due fazioni negli ultimi decenni. Dall’inizio del conflitto odierno non hanno rispettato il diritto internazionale, devono smettere di attaccare gli ospedali e permettere l’accesso agli aiuti umanitari. Inoltre, invitiamo l’Onu a trovare soluzioni per supportare gli operatori locali. Gli aiuti umanitari e le scorte mediche che vengono da fuori non sono sempre accessibili, per questo è cruciale aiutare i sudanesi sul campo che tentano di fornire cibo e assistenza medica. È necessario anche un supporto politico: i molteplici attacchi ai primi soccorritori, che vengono incarcerati arbitrariamente e abusati dai paramilitari delle Rsf, devono essere condannati molto più fermamente».

«A dicembre – continua – il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha deciso di terminare il mandato della missione Onu in Sudan, che aveva un importante expertise sulle violenze di genere in contesti di guerra. Con la missione è stato quindi rimosso anche questo tipo di competenza specializzata sul campo. È cruciale che venga data priorità all’assistenza alle vittime di violenza sessuale: la gravità della situazione richiede un potenziamento delle azioni concrete sul campo».