Fa sempre un brutto effetto sentir la parola guerra, soprattutto quando a pronunciarla è il premier di un paese dell’Ue. «Se, dopo il completamento di North Stream 2 (il gasdotto in costruzione che porterà gas russo in Germania dal 2019) verrà valutato che il sistema ucraino di trasporto del gas non sarà più necessario, allora cosa fermerà Putin dal marciare su Kiev?» si è chiesto il premier polacco Mateusz Morawiecki domenica, durante un intervento a una conferenza sul futuro delle relazioni transatlantiche svoltosi ad Amburgo. Secondo il leader polacco «nessuno crede che questo gasdotto sia un progetto economico» e non invece uno strumento dei russi a fini espansionistici. E per corroborare la sua tesi ha scomodato persino il Lenin de «L’imperialismo», dimostrando, seppur in modo falsificato, che alcune categorie cacciate dalla porta della storia rientrano dalla finestra.

«SARETE SORPRESI di chi sto per citare ma Lenin ha detto che “i capitalisti sono così avidi che ci venderanno la corda su cui li impiccheremo”. Ora noi europei dobbiamo pagare i russi per il gas, i quali guadagneranno enormi somme di denaro che investiranno nelle loro forze armate per poi poterci aggredire. Questa è la logica di ciò di cui Lenin stava parlando». Che dietro il sasso polacco sulla guerra in Europa ci sia la longa manus americana ne sono convinti a Mosca. Dmitry Peskov, portavoce ufficiale di Putin, ha sostenuto che quella di Morawiecki è una «dichiarazione infelice». Nord Stream 2 «è un progetto commercialmente valido ed economicamente interessante non solo per la Russia, ma anche per i destinatari del gas in Europa, in primis la Germania», ha dichiarato ai cronisti il portavoce del Cremlino, definendo poi le insinuazioni polacche un tentativo di politicizzare il progetto.

L’eventualità che Mosca possa infilarsi in una guerra di conquista, rompendo prima di tutti proprio con la Germania, appare davvero poco credibile. Tuttavia il richiamo polacco potrebbe contenere un grano di verità. Sul destino dell’Ucraina si sta giocando una partita complessa che potrebbe condurre alla sua spartizione. Varsavia, divenuta ormai l’alleato più zelante degli americani in Europa, punterebbe a riportare dentro i propri confini le provincie della Galizia sottrattegli nel 1939 con il patto Ribentropp-Molotov, una prospettiva che trova sempre più sostenitori in Ucraina occidentale tanto più si allontana la speranza che il paese, al collasso economico e sociale, possa entrare nella Ue nei prossimi anni.

DELLA PARTITA sarebbe sicuramente parte l’Ungheria di Orbán che ha messo gli occhi sulla regione ucraina della Transcarpazia abitata da 150mila persone di origine magiara. Mike Pompeo, sabato scorso, ricevendo a Washington il suo omologo ucraino Pavlo Klimkin ha ribadito che il paese slavo «non ha migliore amico degli Usa nella lotta all’aggressione russa», malgrado ciò alla Casa bianca sembra si guardi già al dopo Poroshenko che nei sondaggi pre-elettorali viene dato sicuro perdente nelle presidenziali di marzo.

L’EVENTUALITÀ della balcanizzazione dell’Ucraina potrebbe diventare, extrema ratio, appetibile anche per Mosca. Già ad Helsinki lo scorso luglio a fronte del congelamento degli Accordi di Minsk, Putin avrebbe prospettato la possibilità a Trump di annettersi le Repubbliche del Donbass, seppur via referendum. Un’ipotesi che era stata ripresa rozzamente da Salvini in «Ucraina Orientale ai russi e il resto agli occidentali». Una sistemazione che probabilmente non porterebbe stabilità nella regione ma il pericolo di convulsioni ancora più drammatiche.