La lunga stagione delle primarie politiche che dura da marzo a settembre in vista delle elezioni di mezzo termine ha avuto una giornata importante col voto in cinque stati. Nei mid-terms di novembre sono in ballo tutti e 435 seggi della Camera e un terzo dei senatori (34), oltre che governatori di 36 stati. Da sempre verifica politica per il presidente in carica al giro di boa, lo sono tanto più quest’anno in cui la competizione si profila non più tanto fra destra e sinistra quanto fra forze democratiche ed anti democratiche

LE ELEZIONI forniranno importanti indicazioni sulla forza residua del movimento nazionalpopulista di Trump, su quanto il Gop rimanga ancora in pugno all’ex presidente e se esista prospettiva di una spaccatura fra “integralisti” e repubblicani moderati. Una simile scissione sarebbe ovviamente nell’interesse dei democratici che affrontano una strada tutta in salita con la zavorra dell’infimo gradimento di Biden e un’inflazione galoppante. I dem ufficialmente hanno sempre invocato una destra post-trumpista e “normalizzata” ma le primarie hanno riservato anche strategie paradossali, come il sostegno democratico dei candidati più estremisti, nel pericoloso calcolo che a novembre risultino più facili da battere che non quelli “ragionevoli”. Una variazione tattica del «tanto peggio tanto meglio» che ha visto i dem spendere fior di milioni in campagne a favore di alcuni repubblicani sperando di ricavarne avversari il più possibile impresentabili.

Visti i risultati di ieri potrebbe non essere stata una strategia avveduta. I candidati negazionisti, quelli che hanno promosso le screditate tesi trumpiane sulle elezioni rubate con fantomatici brogli sono perlopiù stati promossi alle urne. In Arizona potrebbero essere addirittura quattro, compreso Blake Masters, accolito del magnate trumpista di Silicon Valley Peter Thiel, dalle documentate proclività antisemite.

IN PENNSYLVANIA il candidato repubblicano a governatore sarà Doug Mastriano, trumpiano di ferro che il 6 gennaio era a Washington fra i golpisti sulle scalinate del Campidoglio. In Michigan è stato eliminato un altro dei rari repubblicani che aveva votato per l’impeachment dell’ex presidente. Peter Meijer ha perso contro l’estremista il candidato ultra-Maga John Gibbs promotore di astruse tesi QAnon secondo cui i democratici sarebbero colpevoli non solo di brogli ma anche di riti satanici contro bambini rapiti. Le primarie dovrebbero misurare il danno arrecato a Trump dalla commissione di inchiesta sui fatti del 6 gennaio e dai recenti screzi con la dinastia Murdoch che l’aveva scaricato dall’etere della loro potente rete Fox. Se questo c’è stato, non sembra aver scalfito il fervore della sua base.

IL VOTO di novembre determinerà le sorti dell’amministrazione Biden. Un congresso blindato dal Gop paralizzerebbe ogni residuo programma del presidente. Ma le elezioni apriranno anche un biennio determinante per le sorti della democrazia Usa in cui le forze nazional populiste tenteranno l’affondo per riprendere definitivamente il potere in barba alle maggioranze popolari, compreso, se necessario, un replay degli sporchi trucchi del 2020.

Dopo il quasi-golpe del 2021 l’operazione stop the steal per ribaltare le «elezioni rubate» è stato orwellianamente ribattezzato «movimento per l’integrità elettorale». Per impedire un altro «furto» le forze che tentarono di sovvertire il risultato di due anni fa stanno mobilitando «osservatori volontari» e «un esercito di avvocati» per presidiare i seggi, mettere pressione sugli scrutinatori e preparare una pioggia di ricorsi. E il Gop punta ad assicurare uomini di fiducia nelle cariche strategiche per la conta dei voti e l’aggiudicazione di eventuali dispute: i segretari di stato. Nel 2020 divenne celebre la famigerata telefonata in cui Trump chiedeva al segretario di stato della Georgia di «far saltare fuori» gli 11.000 voti necessari ad aggiudicarsi quello stato e rimanere presidente. Il funzionario, Jay Raffensperger, repubblicano ma non corrotto, si rifiutò. Due anni dopo candidati fedeli a Trump si sono candidati a quella stessa carica in 13 stati e ad oggi sei negazionisti elettorali (che hanno confutato la vittoria di Biden o votato per non certificarla) hanno vinto la propria primaria. Potrebbe bastare la connivenza di uno due di loro a decidere una futura elezione.

A CONFORTARE i Dem rimane il dato del Kansas. Pesante perché respinge il sopruso della Corte suprema – e per estensione quello del potere di una minoranza imposto con le manovre elettorali e le elezioni intermediate, l’inibizione dei voti avversari o la manipolazione dei collegi uninominali. L’affluenza record al referendum che ha preservato il diritto all’aborto indica l’esistenza di grandi maggioranze in entrambi i partiti che non vedono di buon occhio l’abrogazione di diritti civili da istituzioni blindate dai reazionari e integralisti religiosi. E sono disposte a votare di conseguenza.