Quarantuno e quattrocento uno: i numeri non mentono, neanche nella loro simmetria. Quarantuno sono i voti che hanno permesso a Ursula von der Leyen di essere rieletta per un secondo mandato di cinque anni alla guida della Commissione Ue. Quattrocento uno è il totale degli eurodeputati che si sono espressi a favore dell’Ursula bis, mentre i contrari sono stati 284, gli astenuti 15 e le schede nulle 7. Quattrocento era anche la somma dei deputati della coalizione Ppe-socialisti e liberali che sosteneva la rielezione. «Meglio dell’altra volta», scherza Ursula dopo il voto. Quindi ha avuto tutti i consensi che doveva? Più probabilmente ne ha avuti altri che si sono sostituiti ai franchi tiratori, ovvero almeno una parte dei 50 dei Verdi. Il voto è segreto, quindi dobbiamo stare alle dichiarazioni spontanee dei grandi elettori.

L’ALTRO FATTO È CHE si è finalmente risolto il lunghissimo balletto dei meloniani. Subito dopo la proclamazione, Nicola Procaccini ha dichiarato il no di FdI: «Votare a favore avrebbe significato andare contro i nostri principi». Poi però esclude ripercussioni sul commissario italiano e annuncia: «Vogliamo avere un rapporto estremamente costruttivo» con il nuovo esecutivo europeo.

In mattinata, la presidente della Commissione aveva tenuto un discorso di oltre mezz’ora dall’intento decisamente ecumenico, spaziando dall’economia alla sicurezza, dall’immigrazione all’allargamento dell’Unione fino ai temi sociali. Il lungo applauso finale, con tanto di standing ovation di una parte dell’Aula, è stato preceduto da un altro forse più fragoroso, nel passaggio di critica a Viktor Orbán, convitato di pietra del discorso per la rielezione.

La presidente non lo cita neppure per nome: «Due settimane fa», scandisce von der Leyen, «un primo ministro dell’Ue è andato a Mosca. La cosiddetta missione di pace non è stata altro che appeasement (una concessione). Solo due giorni dopo i jet di Putin hanno puntato i loro missili contro un ospedale pediatrico e un reparto maternità a Kiev».

URSULA VUOLE accontentare tutti. Inizia con la competitività, parola chiave sulla quale l’Ue ha affidato la stesura di un rapporto a Mario Draghi, che significa rendere efficiente il sistema industriale ma anche creare un mercato dei capitali, che nell’Ue manca. Parlando di Pmi, giuste richieste degli agricoltori e pragmatismo sul Green Deal prova a fare contento il Ppe ma anche un po’ la destra.

Promettendo un commissario ad hoc per l’emergenza abitativa, cerca di pararsi rispetto alle battaglie dei socialisti (soprattutto spagnoli) e magari una parte della sinistra e dei Verdi. Quando menziona il responsabile per il Mediterraneo da affiancare al nuovo alto rappresentante per la politica estera, la estone Kaja Kallas, prova a rispondere alle preoccupazioni di chi, come Tajani, temeva troppo squilibrio sul fronte est e poca attenzione a quello sud e mediorientale.

TRA I CAPIGRUPPO CHE intervengono dopo il discorso della candidata, scontata l’opposizione del francese Jordan Bardella per i Patrioti, che dice «no a una politica ecologica punitiva» e vede «rischi dal patto migratorio», mentre un’altra francese, la liberale Valérie Hayer, chiede a Ursula di impegnarsi per inserire l’aborto tra i diritti fondamentali dell’Ue. Invita a «uscire dalla torre d’avorio» la capogruppo Left Manon Aubry, esponente della France Insoumise. «In mezz’ora lei non ha mai parlato di povertà e disoccupazione, lei guadagna più di 30mila euro al mese ma un europeo su tre salta un pasto».

Poi dettaglia ancora la posizione della Sinistra: «Non c’è da essere soddisfatti dal suo primo mandato e non c’è motivo di dargliene un secondo». Dal gruppo è anche arrivata la richiesta, respinta dall’Aula, di posporre il voto a causa della condanna della Corte di Giustizia Ue per la poca trasparenza sui vaccini. «Non dovrebbe essere qui oggi, ma davanti a un giudice», ha continuato la capogruppo, che infine ha attaccato: «Oggi ha speso parole per Gaza, però si è fatta fotografare con il criminale Netanyahu».

L’AUSPICATA maggioranza pro-Europea si è dunque materializzata, e questo è sicuramente un successo per Ursula von der Leyen. Che poi sia grande o piccola, o se sarà solida o friabile lo si vedrà alla prova dei fatti. Quel che è certo è che una grande mano alla coalizione – e al soccorso verde che si è rivelato essenziale – è arrivata dai sovranisti. L’attivismo di Orabán sul fronte internazionale e su quello interno con la riorganizzazione dei sovranisti, così come l’allineamento dei grandi gruppi sull’appoggio a Kiev e il contrasto a Putin, hanno rappresentato un collante decisivo per la maggioranza ampia a sostegno dell’Ursula-bis.