Il voto che definirà i contorni dell’Unione europea per i prossimi cinque anni è previsto per oggi alle 13 e il verdetto dovrebbe arrivare entro un paio di ore. I 720 eurodeputati della nuova legislatura devono scegliere se dare o meno il via libera alla presidente della Commissione indicata dai capi di governo europei. Se sarà, sarà ancora Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione, esponente della Cdu tedesca, già ministra della Difesa a Berlino e pupilla dell’ex cancelliere Angela Merkel. Per dare il via all’Ursula-bis serve avere la maggioranza assoluta, ovvero il 50% + 1 dei voti dell’Aula, che si calcola tra l’altro non sui presenti, ma proprio sul numero totale degli eurodeputati. Una soglia non scontata, su cui von der Leyen si arrovella ormai da settimane, e che ha cercato di mettere al sicuro fino all’ultimo minuto. Per evitare una bocciatura che aprirebbe scenari inediti.

Il percorso verso il voto di oggi è stato complesso e accidentato. La maggioranza Ppe-socialisti liberali tocca quota 400. Però il voto è segreto e i franchi tiratori sono in agguato. Cique anni fa furono circa un centinaio, dando luce verde a von der Leyen per soli 6 voti. Ma anche se stavolta fossero solo il 10 o 15% previsti da alcuni osservatori, l’Ursula-bis non vedrebbe proprio la luce. Difficile fino all’ultimo ottenere il supporto dei Verdi da un lato, di Ecr dall’altro, aggirando i veti incrociati. Ma anche dentro la maggioranza non tutti sostengono la leader tedesca. I liberali irlandesi avevano già annunciato voto contrario. e perfino nel suo partito, il Ppe, la presidente della Commissione ha detrattori per non dire nemici, tra cui le delegazioni di Croazia, Slovenia e Francia. In quest’ultimo caso, i Républicains non avevano neppure supportato la sua candidatura.

Oltre alla fatica di comporre il puzzle del voto di fiducia, ieri è anche arrivata una tegola su von der Leyen. La Corte di Giustizia Ue dal Lussemburgo ha stabilito che la Commissione europea ha mancato di trasparenza nell’acquisto dei vaccini contro il Covid. La sentenza, arrivata con tempismo perfetto alla vigilia del voto di fiducia a Strasburgo, presenta anche un’altra ironia. Il ricorso era stato presentato nel 2021 da un gruppo di cittadini ma anche da alcuni eurodeputati dei Greens, ovvero proprio il gruppo che potrebbe essere decisivo per approvare l’Ursula-bis. Non è lo scandalo Pfizergate, che ha aleggiato a lungo su Palazzo Berlaymont a Bruxelles, ma certo la coincidenza temporale non deve aver fatto piacere a von der Leyen.

Eppure non sarà la sentenza della Corte Ue a frenare il piano inclinato che porta verso l’Ursula bis. Su questo sono pronti a scommettere – pur non sbilanciandosi sull’esito finale -, i deputati che si incontrano tra una seduta e l’altra davanti all’emiciclo di Strasburgo. Dalle voci raccolte trapela una certa fiducia. «La non rielezione sarebbe un fallimento enorme, molto più di cinque anni fa», ragiona un eurodeputato uscente, al suo ultimo giorno a Strasburgo. «Il fatto è che non ci sono alternative forti all’Ursula-bis. E una bocciatura non farebbe bene ai gruppi principali che la sostengono, ovvero Ppe-socialisti-liberali». I franchi tiratori, prosegue, furono molti, perché la candidatura von der çeyen era spuntata all’ultimo minuto (al posto di Manfred Weber, leader Cdu e attuale capogruppo Ppe) e si pensava potesse essere cambiata. Stavolta non è più così, «e i deputati eviteranno di darsi la zappa sui piedi da soli», conclude.

«Il percorso della presidente della Commissione verso la riconferma è stato molto accidentato», aggiunge un altro eurodeputato, stavolta un nuovo arrivo. «Malumori nella maggioranza ce ne sono». E non mancano dubbi tra i socialisti, anche se «comunque la sosterranno». Ma un no o un rinvio a settembre, che pure si era ipotizzato, sarebbe un segnale di debolezza, che l’Ue non si può permettere, incalzata com’è da Orbán e con lo spauracchio Trump. Perché su un fatto tutti concordano: la vera forza di von der Leyen è nella debolezza delle alternative.