«Il fatto politico vero di questa legislatura è che abbiamo fermato i nazionalisti». Intercettiamo Nicola Zingaretti, ex presidente della regione Lazio e ex segretario del Pd, davanti all’emiciclo di Strasburgo, in una pausa tra i voti per la presidenza dell’Aula.

Le incognite sono tutte sull’elezione di von der Leyen domani. Ci aiuti a capire il quadro più ampio in cui questo passaggio si colloca.

Fino a un centinaio di giorni fa poteva realizzarsi anche in Europa un’anomalia: per la prima volta nel dopoguerra le forze antieuropeiste e nazionaliste potevano entrare in una qualsivoglia commissione. Avremmo avuto il rischio di una spaccatura irreversibile per il futuro dell’Europa.

E invece?

Invece abbiamo avuto tre novità: il voto europeo, il voto inglese e quello in Francia, che ha evitato che con von der Leyen oggi ci fosse Marine Le Pen a parlare.

Tutto questo cosa suggerisce?

Che dobbiamo trovare un compromesso tra le forze europeiste. Di sicuro non sarà una passeggiata, ma io ricordo l’epoca di Barroso ai vertici dell’Ue, fautore dell’Europa minima possibile e non di quella massima necessaria che chiedevamo noi. Il suo governo era figlio di quella stagione maledetta in cui la finanziarizzazione ha distrutto l’immagine di un’Europa utile alle persone.

Però qui la destra si organizza ed Ecr in parte vota a favore dell’Ursula-bis. Un po’ di imbarazzo per voi del Pd?

Intanto sono voti non generati da un patto, ma aggiuntivi. Il problema dei sì da Ecr è innanzitutto quello di chi ricopre un ruolo di governo, un problema per l’Italia. Non bisogna confondere l’interesse di partito con quello nazionale. Oltretutto abbiamo la presidente del consiglio che dice ’ni’, un vicepresidente del suo governo dice no e un altro che dice sì. Meloni si trova nella contraddizione drammatica che la sua posizione al vertice di un grande paese stride con le sue convinzioni.

Sembra non abbia ancora deciso.

Il punto è che lei doveva dire: l’Italia sostiene la Commissione Ue, come abbiamo fatto sempre, e solo dopo affrontare gli interessi di partito. Invece ha capovolto la piramide: ha guardato agli interessi di bottega, scaricandoli sugli interessi nazionali. È assurdo che lei abbia paura di sostenere la presidente della Commissione. Questo non c’entra niente con la trattativa del ’ti voto o non ti voto’, in quanto Ecr, per ottenere un commissario di peso.

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Sull’immigrazione Meloni è andata a braccetto con von der Leyen, e voi l’avete anche criticata. Nel segreto dell’urna, il voto dei socialisti sarà compatto?

Penso di sì e il motivo è semplice. Molto più che 5 anni fa, bisogna ammettere che quello per la Commissione è un compromesso, ma è fatto per salvare l’Europa. Non abbiamo davanti una destra rigorista che vuole un’Europa minima (e il resto lo fa il mercato) a cui eravamo stati abituati. Il loro unico scopo è la distruzione dell’Ue, perché va contro le nazioni sovrane. Una forza distruttiva che Orbán ha ben dimostrato nei pochi giorni della sua presidenza di turno. Ecco perché è importante l’asse europeista. Poi, è vero, al suo interno dovremo combattere per spostare l’equilibrio a sinistra. E in questo la presenza dei Verdi per noi sarà importante.

Veniamo al Pd: le piacerebbe fare il capodelegazione?

Guardi, la discussione è aperta, ma dato che siamo tanti eurodeputati, tutto dipende dagli incastri degli incarichi che verranno distribuiti. Nessun intreccio oscuro dietro le quinte, ma un lavoro di composizione complesso che sta seguendo direttamente Elly Schlein insieme all’attuale capodelegazione Brando Benifei. Però le assicuro, tutto si svolge in un clima di immensa serenità.

Serenità dentro al Pd, non ci crede nessuno. Riesce a darmi una risposta non diplomatica?

Allora non mi faccia la domanda…