Come non detto. Niente «secondo produttore cinese», niente «schiaffo al made in Italy», niente «il governo ha già dato, ora è l’azienda che deve dare all’Italia».
Sono bastati pochi impegni di Carlos Tavares per convincere il governo che Stellantis è tornata buona. Il ministro Adolfo Urso ieri gongolava: «Vediamo la luce in fondo al tunnel e credo che Italia possa con orgoglio riaffermare il suo ruolo di produttore anche nel settore auto. È cambiato il clima abbiamo fatto bene a fare il pressing sull’azienda».

Urso tocca vette di ridicolo concludendo così: «Ora io credo che il tavolo possa concludersi con la solennità di Palazzo Chigi e con tutti i ministri coinvolti». Intestandosi dunque la richiesta dei sindacati che volevano trattare direttamente con Giorgia Meloni, ritenendolo assolutamente non in grado di ottenere risultati, come dimostra il fatto che già esattamente un anno fa lo stesso Urso desse per imminente un accordo «sul piano industriale di Stellantis per arrivare a un milione di auto prodotte all’anno». Un ritardo di un anno simile a quello del decreto sugli incentivi che, promesso a ottobre, è arrivato solo qualche giorno fa.

LA REALTÀ, COME È EVIDENTE, è ben diversa. Nel braccio di ferro con Stellantis sono i sindacati – e non il governo – a poter rivendicare qualche timido risultato, dovuto interamente agli scioperi e alla lotta dei 40 mila dipendenti rimasti nell’ex Fiat già passati sotto la mannaia di Marchionne.

E per prima la Fiom che ha trascinato gli altri sindacati allo sciopero unitario a Torino del 12 aprile e alla nuova mobilitazione del 12 giugno, sopravvissuta all’annuncio della 500 ibrida ma solo dal 2026 che Tavares doveva già fare per bloccare lo sciopero e che invece ha posticipato all’incontro di lunedì. Stessa sorte per l’altro annuncio sulla Jeep Compass a Melfi: anch’essa partirà fra due anni.

Proprio l’interpretazione data dalla stampa mainstream all’incontro è stata criticata ieri dal segretario generale Michele De Palma: «Tavares voleva una condivisione di tutti i sindacati per andare dal governo e chiedere un intervento con ingenti risorse su costi energetici, efficientamento degli stabilimenti e incentivi all’acquisto strutturali e pluriennali. Ma – continua De Palma – non c’è stata la condivisione voluta dall’ad perché non ci sono garanzie su occupazione e rigenerazione con nuove assunzioni, su ricerca e sviluppo progettazione e produzione. Pertanto – conclude – la nostra posizione è di andare a palazzo Chigi ognuno con le proprie richieste». Il tutto ribadendo che «la dignità – parola usata più volte da Tavares nel tentativo di farsi sentire vicino – ce la siamo ripresa mobilitandoci».

IERI INVECE AGLI ULTIMI due tavoli – finora inutili al Mimit – erano di scena gli stabilimenti di Cassino e Pomigliano. Tavares qua non è mai venuto e anche ieri è toccato all’oscuro Davide Mele, responsabile Corporate affairs in Italia, ribadire l’impegno per i nuovi modelli elettrici oltre alla conferma della Maserati Grecale fino al 2029 nello stabilimento di Cassino. L’unico annuncio riguarda la Panda endotermica a Pomigliano fino al 2029, puntando sul fatto che la destra cambi il Green Deal in Europa.

Se Fim e Uilm sembrano soddisfatte – nonostante chiedano «un accordo di sviluppo a palazzo Chigi con Tavares» – , è ancora la Fiom a spiegare come si tratta solo di promesse con effetti tra anni. «Nessuna nuova risposta certa da parte di Stellantis: a Pomigliano il prolungamento della produzione della Pandina fino al 2029, difficilmente potrà compensare i volumi in calo del Tonale e quelli già esigui dell’Hornet, e soprattutto non guarda al futuro con propulsori con minor impatto ambientale – spiega il responsabile auto Samuele Lodi – . A Cassino i già annunciati nuovi modelli elettrici di Stelvio e Giulia e l’affiancamento di un non ben definito nuovo modello dovrebbero partire solamente dal 2025 e nel 2026».