Il prossimo 22 ottobre la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi sul tema dell’ergastolo ostativo, ovvero quella pena che si trova a scontare un condannato all’ergastolo cui allo stesso tempo venga applicato l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Quest’ultimo venne introdotto nel maggio 1991 nel contesto della lotta alla criminalità organizzata ed è stato da allora varie volte modificato anche ad opera di precedenti sentenze costituzionali. Vi si prevede che chi è condannato per una serie di delitti elencati – legati a mafia e terrorismo ma non solo – non possa accedere a molti benefici penitenziari se non nel caso in cui si offra di collaborare con la giustizia. È questo il solo comportamento previsto dal legislatore attraverso il quale la persona può dimostrare di non sentirsi più legato al proprio trascorso criminale.

IL PRONUNCIAMENTO della Consulta seguirà di pochi giorni un altro importante parere sul tema, quello della Grande Camera della Corte Europea dei Diritti Umani, che lo scorso 8 ottobre ha respinto il ricorso del governo italiano nel caso Viola rendendo così definitiva la sentenza emessa a giugno dai giudici di Strasburgo. Qui si decretava la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, ovvero del divieto di pene e trattamenti inumani o degradanti, per una pena perpetua che sia soggetta a preclusioni automatiche ed obbligate nella possibilità di revisione.

Marcello Viola ha sempre rifiutato di collaborare con la giustizia, adducendo quale motivazione il timore di ritorsione contro i propri cari e sostenendo di essersi nondimeno affrancato dal crimine. Si trova in carcere ininterrottamente dal 1991, senza aver mai avuto un provvedimento disciplinare. La Corte Europea si è limitata ad affermare che l’Italia non dovrebbe considerare la collaborazione quale parametro unico e automatico di ravvedimento (se collaboro sono automaticamente rieducato e posso tornare in società, se non collaboro sono automaticamente delinquente e devo restare in carcere), bensì dovrebbe valutare le singole situazioni nella loro individualità e complessità.

Come accade per l’espiazione delle altre pene, anche nel caso dell’ergastolo ostativo deve essere lasciato al giudice il potere di valutare l’adesione o meno del condannato al percorso rieducativo. A seguito di tale valutazione, il giudice potrà sempre decidere di lasciare un condannato per tutta la vita in cella, ma ciò non dovrà più accadere in base a un automatismo. Si va così a erodere un tassello rilevante di mera afflittività nel concetto di pena dell’ordinamento italiano.

UN ALTRO TASSELLO potrebbe venire abbattuto nei prossimi giorni dalla Corte Costituzionale, cui la Cassazione ha trasmesso gli atti del caso Cannizzaro nel novembre 2018, avendo ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis nella parte in cui esclude dal godimento di permessi premio quei condannati all’ergastolo per reati legati all’associazione di tipo mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia.
La Cassazione, che si riferisce a precedenti pronunciamenti della Consulta, nota come la concessione dei permessi premio per un ergastolano semplice sia subordinata all’aver già scontato almeno dieci anni di carcere, alla buona condotta tenuta e all’assenza di pericolosità sociale. La preclusione assoluta del permesso premio per l’ergastolano ostativo equivale a presumere irrazionalmente che il detenuto sia sempre e comunque pericoloso, senza alcuna concreta valutazione del caso. Inoltre, i giudici di legittimità sottolineano l’eterogeneità del permesso premio rispetto alle misure alternative alla detenzione, essendo il primo estremamente momentaneo e volto alla immediata soddisfazione di esigenze affettive o di altro tipo. La concessione di un permesso tanto limitato nel tempo non può dipendere da valutazioni analoghe a quelle legate a misure più strutturali.

SE È VERO CHE LA SENTENZA del 22 ottobre riguarderà il tema specifico del permesso premio, ci si aspetta che la sua portata potrà essere più ampia, andando a costituire un altro pronunciamento contrario a preclusioni basate su automatismi nella valutazione della pericolosità. Già tra il 2010 e il 2015 la Consulta si è più volte pronunciata con nettezza contro ogni presunzione di pericolosità assoluta nel disporre la custodia cautelare. Nella sentenza 149 del 2018 la Corte è tornata sul medesimo concetto, questa volta però in relazione all’ergastolo, affermando che tutte le presunzioni assolute di pericolosità che precludono l’accesso a benefici penitenziari per un arco di tempo esteso vadano considerate incompatibili con l’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena.

LA PROSSIMA DECISIONE dei giudici costituzionali e quella recentissima della Corte di Strasburgo interessano gli oltre 1.250 ergastolani ostativi nelle carceri italiane. A metà del 2019 era pari a 1.776 il numero totale delle persone condannate all’ergastolo. Erano inferiori alle 1.000 unità all’inizio della nostra storia repubblicana nel 1946 e di poco superiori alle 500 quando nel 1975 è entrato in vigore l’ordinamento penitenziario. Il 1994 ha visto la Corte Costituzionale decretare l’illegittimità della pena perpetua quando applicata a un minorenne. In questi giorni si stanno scrivendo nuove pagine di storia giuridica sul tema.