Dello storico parere dato il 19 luglio dalla Corte internazionale di Giustizia in merito all’occupazione israeliana di Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza abbiamo parlato con Nimer Sultany, giurista palestinese e docente di diritto all’Università Soas di Londra.

L’elemento che più colpisce l’immaginario collettivo è l’accusa a Israele di aver instaurato un regime di apartheid.

Si tratta della prima decisione di una corte internazionale sulle pratiche e le politiche israeliane discriminatorie contro i palestinesi a causa della loro origine. La Corte parla di discriminazione sistemica e sistematica che differenza i palestinesi dagli ebrei israeliani, riconoscendo ai primi uno status inferiore. Secondo la Corte, tale discriminazione sistemica avviene in un contesto di ampie violazioni dei diritti umani e della Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, in particolare l’articolo 3 che proibisce l’apartheid. Nel parere la Corte, seppur dettagli tali pratiche, non elabora la questione dell’apartheid. Ma quattro giudici, compreso il presidente, lo fanno nelle dichiarazioni separate pubblicate insieme alla decisione. Spiegano perché Israele sta violando il divieto di apartheid. Dopo i rapporti di Amnesty International e Human Rights Watch, un simile parere sostiene il crescente consenso internazionale intorno alla definizione e mina il discorso israeliano e occidentale secondo cui Israele è una democrazia che rispetta il diritto internazionale.

Tra i crimini di annessione di fatto e apartheid esiste un legame diretto?

Una delle ragioni principali del consenso sull’esistenza di un regime di apartheid è il collegamento con l’occupazione. Per il diritto internazionale un’occupazione dovrebbe essere temporanea e in risposta a una necessità militare. La Corte giunge alla conclusione che, date le dichiarazioni israeliane e le politiche e la legislazione del paese, Israele ha annesso ampie parti dei territori occupati. Annessione significa che Israele acquisisce territorio con la forza, una violazione del diritto internazionale. Ma significa anche che Israele ha integrato i Territori occupati nel proprio regime legale, politico ed economico. La soluzione a due stati viene minata: se annessione significa uno stato unico, allora significa anche un trattamento discriminatorio all’interno dello stesso sistema. Ovvero, apartheid. Segregazione e diseguaglianza all’interno di un’unica entità.

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A proposito di due stati, da decenni la narrativa prevalente a Occidente è che una soluzione politica sia ottenibile solo tramite un negoziato. La Corte al contrario chiede il ritiro immediato di Israele.

La Corte è molto chiara nel distruggere uno degli ingannevoli argomenti dei governi occidentali che sostengono Israele. Un esempio è la richiesta della Gran Bretagna alla Corte penale internazionale per impedire l’emissione dei mandati d’arresto contro i leader israeliani. Tali argomenti usano la farsa del piano di pace per impedire alle istituzioni legali di ritenere Israele responsabile. Ma la Corte dice: il processo di pace non può essere svuotato di standard legali e un accordo tra occupante e occupato non rende la legge irrilevante. La narrativa legale nel parere del tribunale sulle violazioni israeliane è importante perché l’annessione illegittima mina l’idea stessa di un processo di pace che conduca a due stati.

Tra gli elementi più significativi del parere, c’è l’equiparazione tra colonie e insediamenti: la Corte stabilisce che la colonizzazione, comunque sia compiuta, da individui singoli o dalle autorità, è una politica di Stato. Perché è importante sottolinearlo?

La Corte ha mostrato la debolezza del tentativo occidentale di separare tra i coloni e il regime israeliano che li sostiene. I governi occidentali hanno tentato di punire violazioni individuali, singoli coloni, singole unità dell’esercito, per assolvere il regime politico israeliano. La Corte mostra invece che il problema è istituzionale, strutturale, sistemico e che l’unico modo per proteggere i diritti umani è smantellare le colonie e il regime discriminatorio che le sostiene e le protegge. Il numero crescente di colonie e coloni, le demolizioni di case palestinesi, la confisca di terre, la violenza dei coloni e dell’esercito esistono da tempo, non è qualcosa di effimero ma di istituzionale. La Corte ha messo in imbarazzo i governi occidentali che ricorrono a misure insignificanti e minime, come le singole sanzioni.

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Tale sistematicità fa sì che non si debba parlare “solo” di occupazione militare ma di colonialismo d’insediamento?

La Corte fa riferimento all’autodeterminazione palestinese e alla sua negazione da parte di Israele, citando la risoluzione 1514 del 1960 dell’Assemblea generale dell’Onu sul colonialismo. Uno dei giudici ha aggiunto che non si tratta di un’occupazione ma di un dominio coloniale. E questa è la definizione di colonialismo: un dominio straniero che nega ai nativi il diritto a governarsi. Se a questo si aggiungono le politiche coloniali, come le confische e le colonie che spingono via i palestinesi, allora si è davanti a un colonialismo d’insediamento, un colonialismo che mira a sostituire i nativi con i coloni. Il culmine di questa logica di eliminazione dei nativi è il genocidio in corso a Gaza.

Quali sono le conseguenze del parere per Israele?

L’effetto principale di tale decisione è che mostra al di là di ogni dubbio che Israele è uno stato paria che si comporta come un bullo al di sopra della legge. La Corte mostra che Israele viola tutte le regole fondamentali del diritto internazionale. Se i governi occidentali continueranno a sostenere Israele dopo la sentenza della Corte internazionale sul rischio di genocidio a Gaza, dopo la richiesta della procura della Corte penale di mandati d’arresto e dopo questo parere che accusa Israele di annessione e apartheid, significa che questi governi tradiscono la loro stessa retorica sui diritti umani e su un mondo basato su regole condivise. È una finzione. Questo parere può avere effetti immediati.