Non hanno parlato nemmeno per condannarlo: il parere consultivo della Corte internazionale di Giustizia, massimo tribunale del pianeta, ha lasciato indifferente un pezzo di mondo, quello occidentale.

Da Unione europea e Stati uniti non sono arrivati commenti di sorta sulla pesante, pesantissima accusa mossa dalla Cig: l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est è illegale, è un’annessione di fatto ed è un regime di apartheid. Tra venerdì e ieri gli interventi di Antony Blinken, segretario di Stato Usa, e di Sven Koopmans, inviato Ue per il Medio Oriente, guardavano altrove.

Il primo è tornato sul negoziato-fantasma per il cessate il fuoco a Gaza e lo scambio di prigionieri israeliani e palestinesi: accordo «vicino alla meta» ma persistono «dettagli critici».
Il secondo ha sgridato il premier israeliano Netanyahu per «il rigetto della soluzione a due stati». Chissà, forse era un modo molto obliquo, marchio di fabbrica Ue, per richiamare al parere del tribunale dell’Aja.

NEI TERRITORI non cambia nulla. A Gerusalemme est la famiglia al-Qunbar è stata costretta a demolire la propria casa nel quartiere di Jabal al-Mukaber, era stata costruita senza permessi israeliani, di fatto impossibili da ottenere: o si paga il bulldozer o si fa da soli, con la crudeltà insita nel dover fare a pezzi il proprio tetto. In Cisgiordania un ragazzo di vent’anni, Ibrahim Zaqeq, è stato ammazzato dall’esercito israeliano a Beit Ummar, tra Betlemme e Hebron. Una pallottola lo ha colpito alla testa durante un raid militare.

Era stato liberato dalle prigioni israeliane appena un mese fa, racconta la sorella Adala all’agenzia palestinese Wafa. «I raid giornalieri (nella Cisgiordania occupata) sono più che triplicati negli ultimi mesi. Abbiamo assistito anche a un’escalation negli attacchi dei coloni israeliani – racconta da Ramallah la giornalista Nour Odeh – Mentre la Corte internazionale di Giustizia leggeva la sua sentenza sull’occupazione, i coloni attaccavano i palestinesi a Huwwara, bruciando negozi e campi. Nelle colline a sud di Hebron hanno attaccato una famiglia, una donna è stata ricoverata in ospedale».

E poi c’è Gaza che ieri sfiorava i 39mila uccisi accertati dal 7 ottobre 2023. Almeno altri 10mila sono i dispersi, ma se ne temono molti di più: con il sistema sanitario al collasso, trovare e identificare i morti è diventata un’impresa impossibile.

Dopo una notte di devastazione con almeno 37 palestinesi uccisi, ieri i raid israeliani hanno colpito ovunque. Nel campo di Nuseirat, particolarmente preso di mira in queste settimane, il bombardamento della casa della famiglia Siyam ha provocato la morte di tre persone e il ferimento di otto.

I reporter sul posto hanno riportato della distruzione con l’esplosivo di alcune piazze a Tal al-Hawa, a sud-ovest di Gaza City. Sempre qui, su al-Jalaa Street, è stato colpito un raduno di persone, forse per la distribuzione di acqua o cibo, al momento non ci sono dettagli. A Jabaliya a morire è stato il giornalista Mohammed Abu Jasser, insieme alla moglie e ai due figli. Dal 7 ottobre sono almeno 161 i lavoratori dell’informazione massacrati a Gaza.

IN UN SIMILE livello di distruzione e annichilimento, i dottori dell’Al-Awda Hospital che hanno tirato fuori un neonato vivo dal corpo della madre uccisa non hanno potuto fare altro che parlare di un miracolo, scrive la giornalista Hind Khoudary da Deir al-Balah: Ola al-Kurd era stata uccisa in un bombardamento israeliano venerdì, era stata colpita la sua casa nel campo profughi di Nuseirat. «Ancora il bambino non ha un nome, ha perso sua madre e il padre è gravemente ferito».

E mentre l’esercito israeliano annuncia il prosieguo dell’offensiva militare su Rafah dicendo di aver «eliminato un certo numero di terroristi in diversi confronti», nelle principali città israeliane sono tornate le proteste delle famiglie degli ostaggi e di migliaia di loro sostenitori che chiedono, inascoltati dal governo di Benyamin Netanyahu, un accordo di scambio con Hamas.

Intanto ieri è giunta la risposta israeliana al drone lanciato su Tel Aviv dallo Yemen, venerdì (un morto e dieci feriti). Un viaggio di duemila chilometri senza che nessuno, né la difesa Usa né quella israeliana lo intercettassero. Subito rivendicato dal movimento Houthi, governo de facto del paese, al drone ieri è seguito il bombardamento del porto yemenita di Hodeidah. Il portavoce dell’esercito israeliano Hagari rivendica il raid «in risposta alle centinaia di attacchi contro Israele». Nel bombardamento di cisterne petrolifere e di un impianto elettrico, a cui avrebbero partecipato Stati uniti e Gran Bretagna, sarebbero morte alcune persone. Gli Houthi minacciano: risponderemo.