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Un’altra America è possibile anche senza lo zio Bernie

Un’altra America è possibile anche senza lo zio BernieAlexandria Ocasio-Cortez in tv per la nomination di Sanders alle presidenziali 2020 – Ap

La «Squadra» della sinistra dem I sostenitori del senatore Sanders, delusi dalle primarie, andranno comunque a votare in massa per Joe Biden, come non fecero per Hillary Clinton

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 30 ottobre 2020

Quanto ci manca, zio Bernie. Che buco nel cuore ha lasciato Sanders, quel vecchio socialista che a fine carriera si è permesso di fare irruzione nell’ingessata nomenklatura progressista senza deporre le armi all’ingresso. Che fatica trascinarsi a votare lo sbiadito Joe Biden, copia politicamente informe dell’eterno centrismo nordamericano, soprattutto attento a non spaventare nessuno, mai, per nessun motivo. Ma faremo il nostro dovere, sfideremo code infinite, polemiche mediatiche e minacce fisiche, penseremo a Bernie e voteremo Joe. Perché la parola d’ordine è dump Trump, scaricare Trump.

La sinistra negli Stati uniti – quella che un europeo considererebbe sinistra – si sente così. Usa 2020 è per la far left il capolinea di un’esperienza incubata nelle università, sbocciata nel nevoso Vermont dove Sanders è stato sindaco, deputato e senatore, fiorita nell’intero paese lungo un quinquennio inaspettato, sorprendente, a tratti entusiasmante – e infine sconfitta, al solito.

Bernie Sanders ha 79 anni, fa politica da quando ne aveva 20, l’anagrafe e le coronarie acciaccate rendono impensabile un’altra campagna elettorale. Eppure. L’età non era un problema di oggi, Trump ha 74 anni e Biden 77, lo è per il futuro. Perché da adesso tocca inventarsi una politica senza zio Bernie. Senza il tocco miracoloso che ha fatto uscire all’aria aperta una sinistra che pensa molto e vota poco o niente, che spesso vive le elezioni come un irritante detour dall’elaborazione teorica che è la sua specialità. Andiamo fuori a giocare, ha detto Bernie, e – sorpresa – erano milioni.

 

Bernie Sanders in azione (foto Ap)

 

La data di nascita della Bernie Experience è il 30 aprile 2015, quando annunciò la sua candidatura per la Casa bianca. Il New York Times seppellì la notizia a pagina 21 – Hillary Clinton occupava già tutto il campo. Per di più, proponeva stravaganze: sanità per tutti, college statali e gratuiti, semplici e brutali leggi fiscali per chiudere i paradisi fiscali, un Green new deal contro il cambiamento climatico… Hey amico, cos’è tutto questo stato nell’economia? Siamo negli Stati uniti!

La fine è l’8 aprile 2020, Bernie Sanders drops out, questa volta in prima pagina del Ny Times, un altro successo del feroce establishment democratico. Il 1° marzo, una domenica sera, Obama in persona chiama Pete Buttigieg e gli chiede di ritirarsi, il primo candidato presidenziale gay ci dorme sopra e lunedì mattina, con milioni di dollari già spesi in pubblicità e trentamila volontari al lavoro, abbandona la corsa proprio il giorno prima del Supermartedì, quando 15 stati votano le primarie. In un pugno di ore si ritirano anche Amy Klobuchar, Beto O’Rourke, Harry Reid e l’intero stato maggiore democratico, tutti appoggiano Joe Biden e gli regalano in un singolo weekend una copertura mediatica del valore di 100 milioni di dollari. Rapido ed efficiente, l’establishment democratico taglia la gola a Bernie Sanders, il 3 marzo Biden passa in testa e ci rimane.

Tra l’inizio e la fine del viaggio, ci sono due lezioni: la prima, una piattaforma che rivendica beni pubblici universali (un socialismo democratico che cita Roosevelt e somiglia alla Svezia) e politiche redistributive a spese dei super-ricchi, negli Stati uniti ha il supporto di milioni, non migliaia; la seconda, che questa piattaforma è una minoranza. La differenza tra la rilevanza e il potere, rimasto nelle mani dei bramini democratici.

E c’è la Bernie Army, l’esercito sanderista, forgiato in due presidenziali. Che questa volta ha continuato a lottare, seguendo il mantra di Sanders: not me, us. Non io, noi. E così nasce The Squad, il quartetto di parlamentari sanderiste Alexandria Ocasio-Cortez, Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib, tutte giovani donne non bianche. «The Squad» era la didascalia di una loro foto, postata su Instagram da Ocasio-Cortez e subito usata dalla rete trumpista Fox News per definirle con grande eleganza «le quattro cavalle dell’apocalisse». E l’apocalisse è il programma di Bernie Sanders, che sostengono a spada tratta anche contro le timidezze del loro partito.

I delusi sostenitori di Sanders andranno a votare per Joe Biden, come non fecero quattro anni fa per Hillary Clinton. Nel 2016 Trump si congratulò con i Bernie Bros per aver spostato verso di lui voti decisivi: una balla, ma ci riprova anche oggi. Nel 2020 i sanderisti sono rimasti sul pezzo, appoggiando politiche precise e i nomi che le sottoscrivono. Bernie stesso gira gli Usa, fa comizi per Biden, invia messaggi su Facebook replicati milioni di volte, aiuta vari candidati nel fundraising. Il Sunrise Movement continua a fare centinaia di migliaia di chiamate per candidati progressisti, vari canali su Slack si sono messi a disposizione, il vecchio senatore Ed Markey (74 anni) ha resuscitato la sua campagna grazie all’appoggio della sanderista Ocasio-Cortez (31 anni), pubblicazioni di sinistra come Vox o socialiste come Jacobin non hanno smesso un attimo di spingere.

C’è un futuro. Nel 2020 la sconfitta campagna di Bernie Sanders ha vinto ovunque in una specifica categoria: gli elettori sotto i 45 anni, specie a basso reddito. La working class esclusa dal sogno americano ha appoggiato Sanders più di tutti i suoi avversari messi insieme, in 16 dei 20 stati in cui sono stati condotti exit polls. Non abbastanza per imporsi (gli over-45 sono e votano di più) ma sufficienti per costruire il sogno di un’altra America. Senza più Bernie.

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