I poeti nell’era dei meme? «Idioti moderni», canta Taylor Swift nel suo nuovo album intitolato al «dipartimento dei poeti torturati», cioè a se stessa e alle sue canzoni tristi che misurano la distanza tra le parole e gli abbracci, le promesse e il matrimonio, l’amore e il rimpianto. Non c’è praticamente altro, se escludi il gigantismo in cui si muove, tra le massime popstar esistenti, quasi 800 milioni di streaming in una settimana, 1,8 milioni di album fisici già venduti, unica intervista in 4 anni a «Time» solo perché l’ha messa in copertina come persona dell’anno 2023. «Giuravi di amarmi/ ma dov’erano gli indizi? – si strugge ancora come niente fosse in Down Bad – Morivo sull’altare/ aspettando la prova». Sotto la voce ha il sommesso tappeto elettronico di Jack Antonoff, uno degli autori più rappresentativi del nuovo pop americano, suo collaboratore da sempre.

La pop star sul set del video di «Fortnight (feat. Post Malone)»

LA MESSA IN SCENA della sposa all’altare è lunare, quasi lynchana. Neppure nell’era dei meme i poeti temono la morte come metafora di un amore finito. «Dal primo bacio a quasi sposati/ Siamo ancora vivi ma perdiamo tempo al cimitero/ non ancora seppelliti», canta in Loyl sopra il pianoforte di Aaron Dessner, l’altro autore dell’album, membro dei The National e compositore di classica contemporanea. Una lezione su come si scrive una canzone triste ma leggera come una piuma, dove il riverbero e i silenzi attorno alla performance vocale fanno dimenticare la banalità armonica.
«Chi mai ti stringerà come me?», sussurra infine al bellimbusto che ha «lasciato la macchina da scrivere a casa mia», e non sai chi dei due compatire di più. Segue il verso/meme di tutto il disco: «Non sei Dylan Thomas, non sono Patti Smith, non è il Chelsea Hotel». Così la sconfitta è completa: nelle 31 canzoni dell’album – la versione integrale – dove non si scorge mai la luce di un lieto fine secondo la tipica modalità confessionale della country music femminile (il che rende l’album un oggetto forzatamente esotico per lingua, modi e stile), con un gancio retrò verso i Fleetwood Mac e Bruce Springsteen, la parola poetica è condannata a galleggiare tra il gossip, l’inganno e i resti di un naufragio.

PAUL SIMON nel 1966 cantava lo sbiadirsi di un rapporto di coppia in una canzone intitolata The Dangling Conversation: «E tu leggi la tua Emily Dickinson, io il mio Robert Frost (…) Come un poema scritto male/ siamo versi senza ritmo». Erano due personaggi di un film di Antonioni in un salotto borghese, le tende, il caffè, le copertine dei libri, oggetti tra gli oggetti. «Lei è l’albatross, è venuta a distruggerti», minaccia ora Taylor Swift parafrasando senza pietà La ballata del marinaio di Coleridge. In Albatross si lamenta della fine di una storia nella quale «uomini saggi» credono alle fake news e il suo uomo era troppo pavido per non dar loro retta. Complicato? Nemmeno troppo: il protagonista maschile della canzone sarebbe uno dei suoi fidanzati, l’attore inglese Joe Alwyn, col quale ha fatto coppia per qualche anno disseminando sui social le tracce che ora ritornano nell’aspetto seducente della poesia.

Il bellimbusto invece sarebbe Matt Healy, cantante della band 1975, figurina di scapestrato rock’n’roll che con Taylor Swift ha avuto un legame durato qualche mese. Nell’era dei meme, le poesie sono fatte per essere decifrate, studiate, ossessivamente sottoposte allo scrutinio degli swifties, l’esercito dei followers della cantante (280 milioni) che mette in scena la sua vita da dieci anni su ogni social come una delle più seguite influencer del pianeta. Il magazine del «Nyt» l’altro giorno ha riassunto in una grande mappa le sue amicizie e gli amori a quanto risulta dallo studio dei social, come un apparato assurdo e a suo modo grandioso di poesia generativa.

Taylor Swift
Quando un artista è abbastanza maturo per affrontare psicologicamente il lavoro l’industria ti butta fuori, tipicamente a 29 anni La biografia dei poeti è in grado di dirci qualcosa in più delle loro poesie? Da accademica, la domanda si fa sostanziale. Forse Taylor Swift canta dal fondo della «stanza tutta per sé», ma sotto la luce accesa dei social. Travis Kelce, suo attuale fidanzato, l’ha abbracciata in diretta tv dopo aver vinto l’ultimo Superbowl. Lei cita nella stessa canzone Clara Bow, diva del muto, l’originale flapper girl modello di Betty Boop, che fu travolta dallo scandalo quando una segretaria divulgò i suoi diari segreti. Si paragona a Steve Nicks, la voce dei Fleetwood Mac, che combatté per anni ogni dipendenza. Da qualche giorno una teoria diffusa su tiktok cerca di leggere questo album come omaggio segreto a Sylvia Plath, chissà perché, cercando indizi della poetessa suicida nascosti nelle canzoni. Di converso, un’altra teoria sostiene che nella canzone Cassandra ci sia il racconto di uno scontro traumatico con Kim Kardashian e il suo ex marito Kanye West. In questa semiosi interminabile vale tutto, testi e realtà si confondono di continuo.

IN UNA SPECIE di western scritto alla maniera delle sorelle Brontë, But Daddy I love him, dedicato a certe «Sarah e Hannah coi vestiti della domenica»,Taylor Swift si identifica nella ribelle innamorata di un «ragazzo selvaggio» che di fronte agli anziani del villaggio inscena la sua rivolta: «Papà io lo amo, e avrò il bambino/ no, non è vero, ma avreste dovuto vedere le facce». Poi se la prende con «le vipere che insozzano i panni dell’empatia». Chi siano è difficile dirlo fuor di metafora, probabilmente il rapporto asfissiante coi social da cui ogni popstar dipende e vorrebbe liberarsi seduta stante.

Il 70% degli elettori di Trump sono convinti che Taylor Swift sia un’agente della Cia, l’arma segreta di Biden per le prossime elezioni, nonostante l’endorsement stavolta tardi ad arrivare. La popstar trentatreenne resta sospesa in un gioco amoroso e poetico che tradisce una sottile queerness (lo aveva sostenuto un celebre articolo del «New York Times»): le canzoni di Tortured Poets sono un girotondo di solitudini, abbandoni, malinconie. Hanno una luce diafana, vagamente mozartiana, forse nascondono qualcosa, forse niente. Di sicuro non faranno grande l’America.