«Serve uno sforzo collettivo per convincerlo a rinunciare»
Viale del tramonto Parla Dan Gerstein, analista politico e ex communication strategist del senatore democratico del Connecticut Joe Lieberman. «Non si rischia solo la vittoria di Trump ma una maggioranza schiacciante del Gop al Congresso»
Viale del tramonto Parla Dan Gerstein, analista politico e ex communication strategist del senatore democratico del Connecticut Joe Lieberman. «Non si rischia solo la vittoria di Trump ma una maggioranza schiacciante del Gop al Congresso»
Dan Gerstein è un analista politico, ex communication strategist del senatore democratico del Connecticut Joe Lieberman. Lo abbiamo raggiunto al telefono per parlare degli scenari che si aprono per il partito democratico.
Durante il dibattito di giovedì si è scoperchiato il vaso di Pandora: i democratici e i giornali mainstream hanno iniziato a parlare della necessità che Biden si faccia da parte. Pensa sia possibile?
Sì. Questo tipo di conversazione era già in corso, in sordina. Ma c’era una sensazione di impotenza rispetto alla possibilità di cambiare la situazione. Ma ora il contesto è completamente cambiato. Giovedì notte le persone hanno preso coraggio e cominciato a dirlo pubblicamente. Credo che nei prossimi giorni ci sarà una pressione sempre più intensa su di lui affinché annunci che non si ricandiderà. Che dica qualcosa tipo: è arrivato il momento per una nuova generazione. Non voglio fare previsioni perché ci sono molte forze in campo, compresa la natura estremamente orgogliosa di Biden. E le persone che le circondano che finora hanno incoraggiato questa sua testardaggine nonostante sapessero che si trattava di un pericolo esistenziale per lui, la sua candidatura e il Paese. Penso che i prossimi giorni all’interno del partito saranno particolarmente intensi e divisivi.
Pubblicamente, il partito sta ancora facendo quadrato intorno a Biden, dalla vicepresidente Kamala Harris al leader dei dem alla Camera Hakeem Jeffries. Ma secondo una ricostruzione del New York Times si pensa di organizzare un intervento dei leader «anziani», e di cui Biden ha più fiducia – Nancy Pelosi, Chuck Schumer – per convincerlo a ritirarsi. Cosa ne pensa?
È molto probabile che accada. Ma sospetto che l’unico modo in cui un simile piano possa avere successo è se parteciperà anche la moglie, Jill Biden. Se invece continua a dirgli che può ancora vincere, di non dare ascolto a chi gli dice di fare un passo indietro, c’è un’alta probabilità che lui insista a voler affrontare la Convention. E questo metterebbe il partito in una posizione incredibilmente difficile. Perché non è solo probabile che questo porti alla rielezione di Trump, ma che abbia una ricaduta su altri candidati al Congresso, consegnando ai repubblicani una maggioranza schiacciante. E proprio questo rappresenta un punto di svolta: prima c’era un timore diffuso che Biden stesse dando segnali di non essere adatto alla presidenza, ma deputati e senatori non ritenevano che questo avesse un impatto diretto su di loro. Dal momento in cui i membri del Congresso percepiscono che c’è in ballo il loro futuro, cominceranno ad agire.
E i finanziatori?
Probabilmente parteciperanno alle pressioni che verranno fatte su Biden. Ma non credo che solo questo possa bastare, deve far parte di uno sforzo collettivo per convincerlo che non ha speranze di vittoria.
Se Biden rifiutasse di fare un passo indietro esiste la possibilità, anche remota, che i delegati votino comunque per altri nomi alla Convention di agosto?
È altamente improbabile, anche in termini di regolamento. Ma anche se fosse tecnicamente possibile, sarebbe troppo dannoso per il partito dare uno spettacolo del genere.
Quali pensa siano i nomi che entreranno in gioco se Biden si farà da parte?
Un certo numero di membri del Congresso e governatori hanno segnalato un loro interesse nel caso accadesse qualcosa del genere. A partire dal senatore del Connecticut, Chris Murphy, molto ambizioso e rispettato all’interno del partito, e che piace anche alla sinistra. Poi c’è ovviamente il governatore della California, Gavin Newsom, e quello dell’Illinois J.B. Pritzker. E la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer, che credo sarebbe la scelta più forte: è una delle poche candidate, ha dato prova di poter vincere in uno stato chiave della Rust Belt, è una dei pochi dem ad avere buoni risultati con la working class bianca che sta girando le spalle al partito in questi anni, è amata dai membri della Uaw (United auto workers) e altri sindacati. E soprattutto è in una posizione migliore di Biden o qualunque altro democratico per comunicare un messaggio sul diritto all’aborto, il tema centrale per i dem. Naturalmente verrebbe presa in considerazione anche Kamala Harris, in quanto naturale erede della presidenza Biden. Ma non credo ci sia supporto per lei nel partito, e di certo non sarebbe in grado di raccoglierne a sufficienza da impedire ad altri nomi di candidarsi. E poi ci saranno certamente le carte jolly: persone inaspettate o perfino esterne alla politica.
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