Il noto giornalista americano Seymour Hersh, commentando il dibattito tv disastroso di Joe Biden scrive che «la deriva del presidente verso la vacuità è in corso da mesi, da quando lui e i suoi consiglieri di politica estera hanno richiesto un cessate il fuoco, che non ci sarà a Gaza, fornendo le armi (a Israele) che lo rendono improbabile». Se Biden fosse poco lucido quando ha preso quelle decisioni o nel pieno delle sue facoltà, nessuno lo sa.

SAPPIAMO invece che di armi ne ha date tante e delle più distruttive da usare contro i palestinesi. La Reuters riferisce che dall’inizio dell’offensiva, l’amministrazione Usa ha inviato a Israele un gran numero di munizioni, tra cui più di 10mila bombe altamente distruttive e migliaia di missili Hellfire.

Due funzionari americani, ben informati sulle spedizioni di armi, citati dall’agenzia di stampa britannica, affermano che tra l’inizio della guerra il 7 ottobre e i mesi successivi, gli Stati uniti hanno trasferito a Tel Aviv almeno 14mila bombe MK-84 da 2mila libbre, 6.500 bombe da 500 libbre, 3mila Hellfire, mille bombe bunker-buster, 2.600 bombe di piccolo diametro e altre munizioni. Numeri che, al contrario di ciò che afferma il premier Benyamin Netanyahu, indicano che non c’è stato alcun calo nel sostegno militare degli Stati Uniti al suo alleato.

La quantità e la qualità delle spedizioni hanno soddisfatto ampiamente le necessità israeliane per il tipo di offensiva in corso a Gaza e nella guerra di attrito a nord con Hezbollah, spiega Tom Karako, esperto presso il Center for Strategic and International Studies. Mercoledì un alto funzionario dell’amministrazione Usa aveva detto ai giornalisti che dal 7 ottobre Washington ha inviato a Israele aiuti militari per un valore di 6,5 miliardi di dollari.

I PALESTINESI di Gaza conoscono molto bene gli effetti distruttivi delle bombe americane sganciate dagli aerei israeliani. Parlano le 38mila persone uccisa dal 7 ottobre, tra cui alcune migliaia di combattenti di Hamas. Nelle ultime 24 ore sono stati uccisi 40 palestinesi e 220 sono stati feriti, ha comunicato il ministero della Sanità. L’offensiva israeliana continua senza sosta, anche se ora si concentra in modo massiccio solo a Rafah, nel sud, e vede l’esercito lanciare incursioni, descritte da Tel Aviv come «circoscritte», in varie parti della Striscia. Come a Shajaiyeh, a est di Gaza city, dove da tre giorni non cessano i bombardamenti e combattimenti tra palestinesi e soldati israeliani, mentre migliaia di sfollati si aggiungono a tutti gli altri sparsi per Gaza. «È come le prime settimane dell’invasione», ha detto un abitante, Mahmoud al Masry, che ha dovuto abbandonare la casa con i genitori e quattro fratelli. Scappano anche dalla zona occidentale di Rafah dove si sono intensificati nelle ultime ore gli scontri a fuoco tra le forze di occupazione e le formazioni combattenti palestinesi. Le Nazioni unite stimano che 1,3 milioni persone siano state sfollate da Rafah – più della metà dell’intera popolazione di Gaza – e ne siano rimaste solo 65mila.

A FAVORE del cessate il fuoco immediato a Gaza e della ricerca di una soluzione politica, manifesteranno domani sera a Tel Aviv migliaia di israeliani, di varie organizzazioni e movimenti politici, per una iniziativa che vede la partecipazione anche del filosofo Yuval Hagari e della cantante Noa. Sale la protesta contro Netanyahu.

Il 66% degli israeliani, secondo un sondaggio, ritiene che non debba partecipare a nuove elezioni. Nel frattempo la tregua a Gaza, sulla base della proposta Usa in tre fasi, resta lontana. Gli Usa, afferma il sito Axios, avrebbero formulato «un nuovo linguaggio» volto a sbloccare la trattativa incagliata sulla condizione posta dal governo Netanyahu di riprendere l’offensiva militare dopo la liberazione di una parte degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas, che avverrebbe nella prima fase.

SECONDO Axios gli Stati uniti prevedono ora per la seconda fase «il raggiungimento di una calma sostenibile» a Gaza come passaggio decisivo verso il cessate il fuoco permanente, voluto da Hamas.