La direttiva europea sulla messa al bando dei prodotti di plastica monouso è del 5 giugno 2019.

Già pochi mesi dopo, verso la fine del 2019, le associazioni dei produttori di plastica monouso pubblicano sui principali quotidiani un avviso a pagamento in cui, fra l’altro, c’è scritto: “I rifiuti costituiscono una enorme riserva di risorse che, se opportunamente gestita e valorizzata, può garantire un approvvigionamento sostenibile e continuo negli anni di materiali ed energia”. Il messaggio è chiaro: più rifiuti si producono, meglio è per l’ambiente e per la società. E questi rifiuti vanno prodotti con continuità, sennò l’approvvigionamento sostenibile si interrompe.

Poi, ai primi di maggio 2020, quando già si sa che gli eventuali aiuti europei per fare fronte agli effetti della pandemia saranno condizionati dalla coerenza con il Green Deal europeo, che ha fra i pilastri principali l’economia circolare, un gruppo di più di 100 aziende pubblica un manifesto [dal titolo: “Uscire dalla pandemia con un nuovo green deal per l’Italia”. In questo manifesto si afferma che il riciclo dei rifiuti è “pilastro dell’economia circolare”, quindi del Green Deal europeo. Dunque il problema ambientale dei rifiuti si risolve riciclandoli; corollario: controproducente cercare di produrne di meno, perché il riciclo è pilastro dell’economia circolare.

Peccato che il principio-base dell’economia circolare sia invece la minimizzazione dei rifiuti, attraverso la produzione di beni durevoli, riparabili, riusabili e, alla fine, riciclabili.

E veniamo a oggi. In una intervista al Corriere della Sera del 9 giugno, ad Antonio D’Amato, che guida il gruppo SEDA, leader europeo degli imballaggi e del packaging alimentare, afferma che la direttiva che mette al bando la plastica monouso riducendo quindi la quantità di rifiuti, e che entra in vigore il 3 luglio 2021, è sbagliata perché in contrasto con i principi del Green Deal e dell’economia circolare.

E per dimostrarlo afferma che mettere al bando i piatti di carta ricoperti di un velo di plastica è privo di senso perché la carta viene da alberi certificati e poi si ricicla; inoltre – afferma nell’intervista al Corriere – “la scienza ha dimostrato che le stoviglie riutilizzabili emettono CO2 in misura 3-4 volte superiori al monouso in carta. Fanno consumare il triplo dell’acqua potabile, immettono in ambiente detersivi e microplastiche, ed emettono particolato in misura 4 volte superiore. A parte il fatto che sarebbe opportuno citare la fonte dell’informazione, che non è “la scienza” che ha detto queste cose ma un ricercatore o un gruppo di ricerca la cui credibilità va verificata (perché solo così si evita il proliferare di fake news, del tipo di quelle di cui si nutrono i no-vax), la vera notizia che ci fornisce D’Amato è che la base di conoscenza su cui si appoggia la Commissione Europea è tutta sbagliata, e che la scienza vera la conosce solo lui e tutti quelli che producono plastica monouso. Posizione a dir poco singolare, che somiglia moltissimo a quella che per anni ha guidato l’azione dell’industria del tabacco, dell’Oil&Gas e del carbone, con il negazionismo.

Ma non ci si può stupire più di tanto: evidentemente l’industria della plastica monouso ha preferito opporre resistenza a un cambiamento che è indispensabile per garantire un futuro all’umanità, invece di prepararsi per tempo (e il tempo c’è stato) e rinnovarsi. E in questo purtroppo non sono soli: è proprio questo tipo di atteggiamento che costituisce la principale remora alla transizione ecologica.

Più sorprendente è che sulla questa linea si sia pure sistemato il ministro Cingolani, che aggiunge il suo dissenso anche sulla proibizione delle plastiche biodegradabili e/o compostabili monouso, pure incluso nelle linee guida della direttiva, dichiarando: “è una direttiva assurda, per la quale va bene solo la plastica che si ricicla” e “l’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, solo quella riciclabile. Tutte le altre, anche se sono biodegradabili o sono additivate di qualcosa, non vanno bene”.

È sorprendente perché prima di essere ministro Roberto Cingolani è un fisico, e come tale dovrebbe ben sapere di cicli di vita e del secondo principio della termodinamica. Dovrebbe, ma evidentemente se sapeva ha dimenticato. Ha dimenticato che:

  1. Un rifiuto di plastica non riciclabile può sì essere bruciato fornendo energia, ma fornisce anche CO2 e – per realizzarlo – è costato energia, emissioni di CO2 e risorse non rinnovabili usate nel processo, oltre a rifiuti di processo. Quindi è un rifiuto che non deve esserci o almeno va minimizzato.
  2. Un rifiuto di plastica riciclabile non è la soluzione di tutti i mali: riciclare non è gratis; costa energia e risorse, e a ogni riciclo si perde qualità, che va rimpiazzata con materiale vergine, estratto dall’ambiente: nel caso della plastica, idrocarburi e nel caso della carta, alberi. Quindi è un rifiuto che non deve esserci, o almeno va minimizzato.
  3. Un rifiuto di bioplastica, biodegradabile e/o compostabile ha dietro un processo: coltivazione, trasformazione del prodotto agricolo in bioplastica, degrado in terra o in acqua oppure compostaggio. La coltivazione implica energia meccanica per le lavorazioni, acqua, fertilizzanti e pesticidi, con relativo impatto ambientale. Il processo di trasformazione richiede energia, risorse materiali e produce rifiuti. Il degrado naturale per opera di microrganismi o il compostaggio avvengono invece naturalmente, anche se quest’ultimo deve avvenire in impianti appositi. Quindi la bioplastica non è neutra, dal punto di vista ambientale, perché dà luogo a un impatto. Anche in questo caso, quindi, vale il principio della minimizzazione, non si sdogana proprio il monouso, e quindi bene fa la Commissione Europea a proibirlo anche per le bioplastiche.

Certo, l’Italia vanta eccellenza industriale sia nelle plastiche monouso sia nelle bioplastiche, ma ciò non può e non deve giustificare la scelta di incorrere in una procedura di infrazione e di imporre a tutti i cittadini italiani di pagare la multa per consentire che alcuni continuino a guadagnare senza impegnarsi in una necessaria riconversione. In più giocando sul solito ricatto dell’occupazione.È questa la transizione ecologica secondo il ministro Cingolani?

 

Per leggere tutti gli articoli della rubrica clicca qui