In principio fu Spotlight, la prima grande inchiesta giornalistica del Boston Globe che nel 2002 accese i riflettori sul crimine degli abusi sessuali sui minori commessi da preti e religiosi, nella fattispecie nell’arcidiocesi di Boston, allora guidata dal cardinale Bernard Law, svelando anche l’insabbiamento dello scandalo da parte delle istituzioni ecclesiastiche. A essa ne seguirono altre, che rivelarono come il problema non riguardasse solo gli Usa ma tutti i continenti in cui la Chiesa cattolica era presente.

Negli ultimi anni, quello della pedofilia del clero è diventato anche un oggetto di studio scientifico: da parte della psicologia soprattutto, della sociologia (con qualche difficoltà in più a causa del limitato accesso ai dati) e, da poco, anche della storiografia, che tenta di ricostruire e analizzare come la pedocriminalità si sia modificata nel tempo, sia a livello di percezione sociale e culturale, sia per come viene affrontata dai sistemi giuridici e canonici.

IN ITALIA IN REALTÀ il tema è ancora poco sviluppato. Oltre a qualche sporadico articolo scientifico, l’unica monografia che affronta la questione con un approccio storiografico è il volume, edito da Laterza, di Francesco Benigno e Vincenzo Lavenia, Peccato o crimine. La Chiesa di fronte alla pedofilia (il manifesto, 21 aprile 2021). Arriva ora, curato da Lorenzo Benadusi (docente di Storia contemporanea a Roma Tre) e Vincenzo Lagioia (docente di Storia moderna a Bologna), In segreto. Crimini sessuali e clero tra età moderna e contemporanea (Mimesis, pp. 226, euro 22), volume collettivo che raccoglie saggi di vari storici che analizzano la pedocriminalità del clero in un’ottica diacronica: in età moderna, nell’Italia dei secoli XVII e XVIII (Lagioia) e in particolare a Venezia nel primo Settecento (Tommaso Scaramella); nel «lungo Ottocento», quando si intreccia anche con la polemica pubblica fra cattolici e anticlericali, soprattutto in Francia e in Italia (Lavenia), fino a tutta l’età giolittiana (Benadusi); infine il sociologo Marco Marzano (l’unico autore non storico), attraverso uno «sguardo sistemico» più concentrato sul presente, tenta di delineare i nodi strutturali del tema, a partire dall’obbligo del celibato ecclesiastico, elemento decisivo per affermare lo status sacrale del prete.

La prassi del «segreto» – parola chiave, che dà il titolo al libro – è il filo rosso che attraversa il volume: «in segreto» è infatti il modo con cui agisce il pedocriminale, ma anche la strategia adottata dalle istituzioni ecclesiastiche per occultare il crimine, nel tentativo «di salvaguardare l’onore della Chiesa anche a costo di disinteressarsi della tutela delle vittime», spiegano Benadusi e Lagioia. E non solo, perché «secretum» è inteso anche come «separatezza, come ambito specifico che deve rimanere nettamente distinto dalla società civile, perché regolato da norme e procedure particolari».

Si tratta di elementi che hanno portato ad attribuire alla Chiesa la responsabilità di aver creato e alimentato una «cultura del silenzio», che costringe preti e religiosi a vivere la propria sessualità nel nascondimento e talvolta a rivolgere le proprie attenzioni a minori, anche perché è più facile riuscire a tenere celate queste relazioni, a causa della profonda disparità sia anagrafica sia soprattutto sociale, per il ruolo e il potere sacrale loro attribuito.

ANALIZZARE E LEGGERE i crimini sessuali commessi dal clero sui minori nel tempo lungo della storia consente di comprendere meglio gli aspetti problematici della questione e di evitare facili semplificazioni.