Accade di rado che le giurie si sintonizzino con le passioni del festivalieri, ma stavolta è successo. La giuria internazionale del concorso di Venezia 73, presidente Sam Mendes e composta da Laurie Anderson, Gemma Arterton, Giancarlo De Cataldo, Nina Hoss, Chiara Mastroianni, Joshua Oppenheimer, Lorenzo Vigas, Zhao Wei, ha premiato col Leone d’oro il film più amato sul Lido, arrivato all’ultimo, in chiusura, per scompigliare qualsiasi pronostico rilanciando una competizione che ha avuto più di qualche intoppo: The Woman Who Left di Lav Diaz, poeta e musicista, che è anche il riconoscimento a un cineasta contemporaneo tra i più importanti.

A un primo sguardo il palmarés di Venezia 73 ha prediletto quei film che si immergono nell’immaginario per compiere detour, reinvenzioni, mash-up di codici, generi e categorie, come The Bad Batch della giovane Ana Lily Amirpour, il paesaggio americano e le sue ipocrite illusioni in un western irriverente con cow-boy ragazza e cannibali clandestini.

Utilizzando l’artificio della narrazione anche Tom Ford cita l’America, i suoi stereotipi e luoghi comuni nella vendetta «letteraria» del suo Nocturnal Animals di chi non crede e non cede alle armi e preferisce la distanza della parola.

Certo dispiace per Spira Mirabilis assente dal verdetto, profonda variazione sul film saggio come anche per la mancanza delle giovani attrici di Giuseppe Piccioni, brave e sensuali, quando la sensualità dei corpi diviene sugli schermi sempre più rara – e quanto poco eros nei film in gara.

Non è quella che provoca la piovra multifallica di Amir Escalante Leone d’argento ex-aequo (una caduta di stile della giuria) con Andrej Konchalovski che stavolta ha piegato la sua maestria a uno dei peggiori film della Mostra per lo sguardo che getta – macchiettistico e imbarazzante – sull’Olocausto.Peccato anche per La La Land, «ripescato» con la Coppa Volpi alla protagonista Emma Stone (ma l’impressione a parte il Leone d’oro è di una decisione piuttosto tormentata…) , mentre il miglior attore va a Oscar Martinez che sostiene interamente sulle sue spalle Il cittadino illustre.

Paula Bear, è la rivelazione giovane attrice, molto intensa nel romanzo delle vite possibili che è il melò raggelato di Ozon Frantz, un’altra variazione sul potere dell’affabulazione, delle storie – anche il film di Lav Diaz lo è, ciò che conta è l’obiettivo fissato se rivoluzionare il sistema o assecondarlo.

Forse era questa la «linea» della Mostra che ha prediletto film «raffreddati» emozionalmente – lo è anche Jackie di Larrain premio per la sceneggiatura – il cui esito però rispetto agli obiettivi non è apparso sempre accordato.

Un’ultima cosa: la vittoria di The Last of Us nella Sic per l’opera prima De Laurentis, e a Orizzonti (giuria presieduta da Robert Guediguian) di Liberami di Federica di Giacomo il doc sugli esorcismi come segno di uno spaesamento del contemporaneo. Diversissimi sperimentano entrambi un bel racconto della realtà e ci dicono di strade che nel cinema continuano a aprirsi. Per un grande festival è una scommessa non perderle d’occhio.